Felice Costanzo

Felice Costanzo

di Giuseppe Musolino

Felice Costanzo è uno dei nipoti di Michele Pane, figlio della sorella Nicolina (1853-1896).  Lo includo in questa sezione, quella destinata agli “Amici” del poeta, poiché il suo rapporto col celebre zio non è solo di carattere familiare ma, ad un certo punto della vita di Felice, si trasforma in un rapporto amicale e quasi tra “colleghi” per l’interesse che il giovane manifesta per la scrittura e la poesia, insomma per quello che era il mestiere dello zio. Tra loro quindi nasce una corrispondenza che unisce temi di argomento personale e familiare a temi culturali. Ma cominciamo dall’inizio.

Felice Costanzo

Felice Costanzo (1894-1986)

La maggior parte delle notizie familiari di Felice Costanzo le possiamo trarre dal suo volume Dalle origini… (ricordi di famiglia) pubblicato da Rubbettino nel 1983, nel quale egli raccoglie dati, informazioni e aneddoti sulla vita dei suoi antenati e sulla sua personale.
Il volumetto inizia con le più antiche notizie relative ai suoi  avi secondo cui i Costanzo della provincia di Catanzaro – in particolare di Nicastro – sarebbero stati originari di Pedivigliano e prima ancora di Cosenza, dove erano giunti provenendo da Napoli. Il più antico personaggio della famiglia che Felice riesce a ricordare è il prozio Don Pasquale Costanzo, fratello del nonno Felice, che era stato per anni parroco a Bella (frazione di Nicastro, ora Lamezia Terme) e solo intorno ai 60 anni d’età giunse ad avere assegnata la parrocchia del suo paese di Adami.
Il nonno Felice, di cui il Nostro era orgoglioso di portare lo stesso nome, morì quando il nipotino aveva solo un anno. Ma nel paese poté ascoltare per molto tempo le lodi per quell’uomo laborioso che dedicava tutte le sue energie alle attività connesse con la gestione dei molti terreni che aveva acquistato con le sue risorse e con l’aiuto del fratello parroco.

Veduta di Censo - Maggio 2012

Veduta di Censo - Maggio 2012

In casa con il nonno Felice viveva una sorella, Grazia, che non avendo sposato era rimasta in casa a coadiuvare la famiglia. In questo periodo la famiglia Costanzo ebbe la sua massima ascesa economica che porterà le generazioni successive a potersi permettere uno dei lussi più rari per l’epoca, e cioè l’accesso all’istruzione.
Dal nonno Felice e dalla moglie Rachele Grandinetti nacquero Rosario (morto giovane), Giovanni e Gabriele. Gli ultimi due furono mandati a Nicastro per frequentare le prime tre classi del Ginnasio.
Assolto il servizio militare, Giovanni aiuta la famiglia nella gestione dell’azienda familiare che, come detto, aveva bisogno di una buona organizzazione date le dimensioni che aveva raggiunto.
Arriva poco dopo il momento di prendere moglie e la scelta cade su una giovane appartenente a una famiglia di buone condizioni economiche: Nicolina Pane, la sorella maggiore di Michele Pane.
Da Giovanni e Nicolina nacquero numerosi figli di cui sopravvissero solo cinque. L’ultimo nato fu Felice Costanzo che vide la luce il 6 aprile 1894. Il destino però lo privò presto della madre che, a poco più di quarant’anni d’età, morì quando il bambino aveva solo un anno e mezzo. Per il piccolo Felice si rese necessario ricorrere a una balia che fu trovata nel suo stesso paese e poi a un’altra originaria di Motta S. Lucia che si trasferì nella casa del bambino. Qui, dopo la morte della madre, si era venuta a creare una grande famiglia di cui facevano parte i cinque figli, il padre Giovanni, il prozio parroco Don Pasquale, la prozia Grazia (“monaca di casa”), la nonna Rachele e un’altra prozia, Innocenza. Felice Costanzo fu tenuto a battesimo dallo zio Michele Pane nel mese di aprile 1894, poco prima della sua partenza per l’America. Di questo legame lo zio avrà sempre memoria in lettere e poesie.

Casa natale di Felice Costanzo in località Censo, ora di altri proprietari.

Casa natale di Felice Costanzo in località Censo, ora di altri proprietari.

Poco distante dalla casa paterna di Felice, viveva la nonna materna Serafina Fiorentino. Dalla nonna Serafina andava più raramente, anche perché le distanze che oggi appaiono irrilevanti un tempo erano percepite come maggiori, soprattutto per le cattive condizioni delle strade. I Costanzo vivevano nella borgata chiamata Censo mentre i Pane avevano la casa nel centro di Adami, vicino la chiesa: la distanza era di circa 500 metri.
Quando i nipoti Costanzo andavano dalla nonna Serafina, lei li accoglieva con amore e dolcezza, di solito nella grande cucina, quella in cui c’era il focolare e “ ‘u cippariellu” in cui da bambino si sedeva il figlio Michele, figlio di cui lei parlava in continuazione insieme agli altri personaggi della sua famiglia, primo fra tutti il fratello filosofo Francesco che ogni tanto si recava in Adami a farle visita e a giocare a “tressette” nella cantina che i Pane gestivano.
La sorella maggiore Grazia fu per il piccolo Felice come una seconda madre. Si prese cura amorevolmente dei fratelli e degli altri familiari che vivevano nella stessa casa. Ma anche per lei era in agguato un triste destino poiché prematuramente morì in seguito alle complicanze del morbillo.
Ad occuparsi dei fratelli più piccoli toccò allora all’altra sorella Innocenza che doveva anche provvedere (insieme ad altre parenti o a persone di servizio) alle altre esigenze della famiglia come quella di preparare da mangiare per i molti lavoranti necessari per la gestione delle proprietà di famiglia e ai quali si dovevano somministrare – secondo la consuetudine – più pasti al giorno (la mattina presto, a metà mattinata, a pranzo, e qualche volta anche la sera).
Nel frattempo Felice e Pasquale completarono gli studi a Nicastro (1911) e Innocenza poté distaccarsi dalla famiglia e sposare Ernesto Paola di Conflenti dove si trasferì. Ma la povera Innocenza non ebbe fortuna perché morì poco dopo, all’età di 31 anni, per le conseguenze di uno sfortunato parto.

Intanto Felice Costanzo aveva continuato gli studi a Nicastro e, successivamente, presso il convitto di Scigliano, in provincia di Cosenza. Il percorso da Adami a Scigliano, ricorda Felice nel citato libro di memorie, era disagevole perché in mancanza di treno — che verrà molti anni dopo — doveva essere fatto sul dorso di asino o addirittura a piedi. Da Scigliano passò a Catanzaro al Liceo-Ginnasio Galluppi e dopo ancora alla Scuola Normale di Lacedonia. Qui nel 1911 conseguì il diploma e l’abilitazione Magistrale dopo tre anni di permanenza nel centro avellinese.
Tornato nel suo paese natale, festeggiato da parenti e amici per il prestigioso risultato conseguito, si diede subito da fare per ottenere un incarico di insegnamento. E questo arrivò presto, il primo di ottobre di quello stesso 1911, presso la scuola elementare di Curinga. Accompagnato dal padre Giovanni e dallo zio farmacista Luigi Pane, Felice raggiunse la sede assegnatagli, ma poco dopo dovette lasciarla perché un altro aspirante aveva promosso un ricorso — fondato —  in quanto egli non aveva ancora compiuto la maggiore età e quindi non poteva essere assunto.

Il primo vero anno di servizio inizierà nel dicembre del 1912 nel comune di Gizzeria dove Felice prenderà casa e abiterà per qualche anno.
Arrivò presto la mobilitazione per la guerra e Felice Costanzo dovette forzatamente vestire la divisa e partire per il fronte. La sua zona di destinazione era sul Lago di Garda e poi nella zona delle operazioni dove prestò servizio nel lavoro d’ufficio negli ospedali militari. Dopo la disfatta di Caporetto vagò per qualche giorno e poi fu destinato ad insegnare nelle zone di guerra.

Felice Costanzo  (con il segno) militare nella I^ Guerra Mondiale

Felice Costanzo (con il segno) militare nella I^ Guerra Mondiale

Felice Costanzo in divisa

Felice Costanzo soldato

Ammalatosi di “spagnola” fu ricoverato nell’ospedale di Udine e successivamente destinato all’ospedale militare di Catanzaro per la convalescenza. Da qui fu destinato a Palermo finché nell’agosto del 1919 ritornò definitivamente al suo paese di Adami.

Dalle fotografie del fronte di guerra che Felice Costanzo conservò come ricordo, si può notare la grande somiglianza dei lineamenti del viso e del portamento che Felice ha con lo zio Michele, specialmente se confrontate con le prime fotografie americane di Michele Pane quando aveva la stessa età di Felice soldato. La somiglianza si conserverà anche negli anni seguenti, tanto da indurre Gabriele Rocca, quando per una grave malattia si era recato a Roma per cure e dove poi morirà, incontrando Felice gli disse: «Tu a Michele tutt’assomigli ‘e facc’e de statura!» (così nella poesia Per il trigesimo di Gabriele Rocca, in “Juri ‘e luntananza”, 1958).

Dal primo ottobre 1919 prese servizio d’insegnante nella scuola elementare di Soveria Mannelli, sede che raggiungeva in bicicletta o a piedi.
In quei primi anni del dopoguerra, nei pomeriggi liberi dal lavoro scolastico, si dedicava a dirigere i lavori di risistemazione della casa paterna e delle proprietà agricole, anche perché stava per conquistare una nuova tappa della sua vita: il matrimonio.
Il 18 agosto 1920 Felice sposa Raffaela Costanzo, sorella di Don Luigi e di Rosarino, amici fra i più sinceri e duraturi di Michele Pane. Dalla coppia nasceranno quattro figli: Innocenza, Achille e le gemelle Grazia e Rachele mentre Felice riesce ad ottenere pian piano l’avvicinamento della sede di servizio prima a Liardi e poi ad Adami.

Famiglia Costanzo nel 1930

Felice Costanzo con la moglie Raffaela e i loro quattro figli. In braccio le neonate gemelle Rachele e Grazia, davanti Innocenza e Achille.

Passano gli anni e Felice pensa che per garantire ai figli migliori opportunità di studio, sarebbe stato utile trasferire tutta la famiglia in una grande città.
Si pensa a Roma dove il cognato Don Luigi avrebbe avuto la possibilità di aiutarli nella sistemazione. E infatti così accadrà, nel 1936, esattamante l’11 febbraio. Dapprima vi si trasferisce il solo Felice raggiunto dopo pochi mesi dal resto della famiglia che si sistemò a Ostia Antica.
Superati, indenne, i rapporti con i gerarchi fascisti che ogni tanto gli si avvicinavano per rimproverargli il suo scarso “attaccamento” al partito — giunsero a quasi ottenerne il licenziamento — la vita nella città di Ostia Antica proseguì tranquillamente, con il suo impegno nel lavoro e i figli che progredivano negli studi.
Tutti gli anni, durante le vacanze estive, la famiglia Costanzo si trasferiva nel natio paese di Adami. L’evento era così sistematico che Felice Costanzo — unico caso noto!— negli anni successivi scriverà nelle prime pagine dei libri pubblicati l’indirizzo “abituale”, cioè quello di Roma (dove andrà a vivere) e quello “estivo (luglio-agosto)” di Adami, inclusi i numeri di telefono.
Nel 1943 la partenza per le vacanze estive avvenne prima del previsto perché, per l’incalzare degli eventi bellici, la chiusura delle scuole fu anticipata e la famiglia partì per Adami già alla metà di giugno. Si pensava a una breve permanenza nella casa natale, per cui furono portati meno bagagli del solito, lasciando tutto nella casa di Ostia, come per una breve assenza. E invece le cose andarono diversamente, poiché la zona di Ostia fu sfollata e nessuno poteva tornare nella propria casa.

Passarono così due anni di angoscia per la situazione bellica che anche in Calabria faceva sentire il suo peso ma, soprattutto, per il destino della casa ostiense abbandonata a se stessa.
Nei seguenti due anni scolastici di forzata permanenza in Calabria, il 1943-44 e 1944-45, Felice Costanzo insegnò nella scuola elementare di Adami, con grande piacere, se non fosse stato per i timori su ciò che forse stava capitando alla sua casa di Ostia.
In quegli stessi anni le figlie Rachele e Grazia, frequentarono il 4° e 5° ginnasio al Galluppi di Catanzaro ospiti, insieme alla madre, del loro zio Don Luigi Costanzo che a Catanzaro era stato nominato Provveditore agli Studi dal Comando degli Alleati, dopo il loro sbarco in Sicilia. Achille invece frequenta il 3° anno al Liceo Fiorentino di Nicastro. Cenza, che aveva già conseguito la licenza liceale, resta in Adami con il padre e la fedelissima domestica Sandrina.

Anche in Adami ci fu qualche apprensione per i pericoli della guerra. Intorno alla zona di Adami-Liardi si trovava una postazione della contraerea tedesca che veniva presa di mira dagli aerei degli Alleati. Durante il giorno, quando gli aerei si facevano minacciosi nel cielo, gli abitanti di Adami lasciavano le loro case e si inoltravano nei vicini boschi, nascondendosi alla vista di eventuali incursori.

Nel maggio del 1945, ottenuti i permessi, Felice Costanzo, trepidante, affrontò il viaggio per Ostia dove avrebbe potuto finalmente conoscere il destino della propria casa.
Con sorpresa e orrore la trovò completamente vuota! Niente mobili e suppellettili ma neanche le finestre, i lavandini, i tubi dell’acqua. La scomparsa di oggetti e ricordi di famiglia colpì nel cuore Felice, poiché i ricordi che si tramandano per mezzo degli oggetti, delle fotografie, delle lettere sono parte della famiglia, come e più degli altri beni, essendo insostituibili. Chissà anche quanti documenti che riguardavano il rapporto con il celebre zio Michele sono andati distrutti in quell’occasione!

Superato il primo momento di shock, si pensò a come rimettere su la casa. Più tardi sarebbe arrivato qualche indennizzo come risarcimento di danno di guerra ma fu tardivo e insufficiente. Per non far perdere un altro anno ai due figli maggiori, Felice Costanzo lasciò Adami per l’inizio del nuovo anno  — scolastico per lui e accademico per i figli —  andando ad abitare presso la cugina Libertà a Roma, mentre la moglie e l’altra figlia rimasero ancora in Calabria.

Dopo pochi giorni, organizzata con mezzi di fortuna una parvenza di abitabilità nella casa di Ostia, Felice e i due figli vi si sistemarono come ci si può sistemare nel periodo che segue una disastrosa guerra, con merci introvabili e, comunque, a carissimo prezzo.

Arrivata l’estate, tutti si ritrovano in Adami da dove pochi mesi dopo l’intera famiglia, ormai riunita, farà ritorno a Ostia.

Fu in questi anni che Felice Costanzo incomincia a mettere mano alla penna per comporre le prime poesie ricevendo consensi e apprezzamenti. La cosa che più lo incoraggiava era che i plausi e gli apprezzamenti gli venivano da persone che di queste cose se ne intendevano: don Luigi Costanzo, Michele Pane, Vittorio Butera.

Passarono così gli anni ’40 e arrivarono tempi migliori: le lauree dei figli, l’acquisto di una macchina (una Fiat 600), l’assidua frequentazione del cognato Don Luigi che era a Roma, e tutto sembrava andare per il verso giusto. Immancabilmente, tuttavia, dovevano arrivare anche dispiaceri e dolori, soprattutto per la morte degli amati congiunti: il fratello Pasquale, lo zio Michele Pane e il cognato don Luigi.

Dedica di Michele Pane su una copia di Garibaldina alla famiglia Costanzo

Dedica di Michele Pane su una copia di Garibaldina ai figli del nipote Felice Costanzo

Gli ultimi due anni di servizio nella scuola di Ostia Felice Costanzo li trascorse in ufficio, avendo conseguito la nomina di Collaboratore Fiduciario con esonero dall’insegnamento. Tra il disbrigo delle pratiche, Felice trovava il tempo di dedicarsi anche a letture e composizione di varie opere che pubblicherà via via con editori di Decollatura, Roma, Nicastro e Soveria Mannelli.
All’età di 65 anni, nel 1959 fu collocato a riposo e successivamente si trasferì a Roma dove aveva comprato una casa nella centrale via S. Evaristo, nei pressi di Città del Vaticano.
I figli cominciano ad intraprendere le professioni legate ai titoli di studio conseguiti: Cenza, laureata in Matematica e Fisica, inizia ad insegnare; Achille, laureato in Ingegneria elettrotecnica affronta gli esami ed entra nell’Istituto Superiore di Telecomunicazioni; Rachele Laureata in Lettere Classiche inizia l’insegnamento; Grazia, conseguito il diploma in Economia Domestica, insegna saltuariamente in alcune scuole di Roma e Fiumicino.

Felice Costanzo con figlie e nipoti

Felice Costanzo con figlie e nipoti

Felice Costanzo con Libertà e Oronzo e figlie, luglio 1973

Felice Costanzo brinda con Libertà, Oronzo e figli - Luglio 1973

Dal 1961 Felice, venduta la casa paterna di Censo, si trasferisce nell’altra casa che aveva ristrutturato nella zona vicino la stazione ferroviaria di Adami (Le Fosse), dotata di un grande giardino in cui trovava posto anche un bel campo di bocce, una delle sue passioni.

Il volumetto “Dalle origini… (ricordi di famiglia)” è stato utilissimo per raccontare le vicende di Felice Costanzo fino all’inizio degli anni ’60. Per la parte successiva mi hanno offerto un valido aiuto le sue poesie (molte riguardano episodi particolari della sua vita) e i ricordi – vividi e dettagliati – della figlia Rachele.

Quello che emerge dalle sue note autobiografiche – ma anche dal resto delle sue opere – è un Felice Costanzo quale uomo serio, onesto, laborioso, attaccato alla vita di cui sapeva apprezzare i più semplici piaceri, senza mirare a grandi ed eclatanti ostentazioni e pretese.

«Una partita a tressette – ricorda Rachele – e a scopone, fuori casa o in famiglia, lo riempiva di gioia. Lo stesso effetto positivo gli faceva il gioco delle bocce nel “campo chi addura de viole e de frascame” di Michele a Pagliaia o nel campetto di casa.»

D’estate, quando in tutti i paesi del circondario si svolgevano le fiere, Felice doveva assolutamente visitarle tutte. Toccava alla figlia Cenza accompagnarlo in macchina, anche se non ne era particolarmente entusiasta, immaginando già le difficoltà che avrebbe incontrato nel destreggiarsi nel caos creato dalla circolazione di buoi, asini, pecore, donne con ceste sul capo, bambini, vecchi disorientati, camion e poi tutte le altre macchine.
Più di tutte, mi racconta Rachele, le pesava andare alla fiera dell’Abbandonata di Soveria, dove lo spazio era particolarmente angusto. Ma non era necessario insistere molto e Cenza prendeva le chiavi della macchina, disposta ancora una volta a sacrificarsi per il padre. E lui era doppiamente “felice”!

La vita nella casa di Adami gli offriva tanti piccoli piaceri, come quello di curare le piantine da frutto alle quali non faceva mancare l’acqua, ottenendone in cambio i frutti (soprattutto pere) che apprezzava molto.
Una delle sue passeggiate preferite lo portava alla fontana vecchia di Adami, sempre munito del suo bicchiere tascabile, pronto a farsi delle salutari bevute. Mai nessuna bevanda fu apprezzata da Felice Costanzo quanto le acque delle sorgenti della sua terra.
L’altro grande piacere di Felice era quello di ospitare altri “bei fiori” che coronavano la sua esistenza e cioè le nipotine Raffaella e Silvia – figlie di Achille – e talvolta Teresa, Lucilla e Mimmo, figli di Grazia.

Felice Costanzo a Villa Sciarra (Roma) con i nipoti Raffaella, Mimmo, Teresa, Lucilla e Silvia. Anno 1973 circa

Felice Costanzo a Villa Sciarra (Roma) con i nipoti Raffaella, Mimmo, Teresa, Lucilla e Silvia. Anno 1973 circa

Nel mese di dicembre del 1972 gli fu conferita la nomina di Socio dell’Accademia Cosentina, come era accaduto sessant’anni prima allo zio Michele Pane. Felice Costanzo accoglie quasi con incredulità la notizia, componendo subito una poesia pubblicata nel 1975 per ringraziare della nomina e per schermirsi dietro la sua tradizionale modestia.

Nel 1974, tra giugno e luglio, trascorse più di un mese di degenza all’ospedale di Catanzaro. Tornato a casa, trascorse un lungo periodo di convalescenza in cui, rincuorato dai familiari, pian piano riprese a camminare aiutandosi con due bastoni. Dovette però dire addio alla bicicletta, alle bocce e ai suoi consueti “70 giri” intorno casa.

Pochi anni dopo, un grande dolore è in agguato. Il 17 ottobre 1978 muore la sua adorata moglie Raffaela, Rafeluzza come vezzosamente la chiamava. È inutile aggiungere che, a questo punto, la vita di Felice Costanzo subisce una svolta fondamentale. Arriva la solitudine, arrivano le lunghe giornate trascorse a pensare e a rimuginare, con il pensiero che vagava, tra ricordi dolci e amarezze.
Il maggiore conforto fu, in questo periodo, il continuare a scrivere versi e a ripercorrere col pensiero la sua vita arrivando sempre più ad apprezzare le piccole cose, le piccole gioie della vita.
Grande conforto gli davano le visite dei vecchi amici sia a Roma sia nella casa di Adami durante il periodo estivo, come quelle, fra gli altri, di Nicola Sinopoli, Peppino Cerra, Peppino Scalzo e Giuseppe Mascaro di Serrastetta.

Intanto si avvicina l’epilogo. Agli inizi del giugno 1986, Felice Costanzo inizia ad avvertire una certa debolezza.
È il suo unico rene che comincia a cedere, avendo avuto asportato l’altro molti anni prima. La situazione precipita, ma Felice, pur rendendosi conto della gravità della situazione, continua a sperare di poter tornare a vedere ancora una volta la sua casa di Adami.
Poi «È finita! – sussurra infine all’orecchio della figlia Rachele ­– Vicino a me c’è mio fratello Pasquale, lo vedi? È qua!»

La sera del 13 giugno 1986, nella sua casa di Roma, muore serenamente dopo aver recitato per intero «Davanti S. Guido» di Carducci, una delle sue poesie preferite.

Dopo il funerale a Roma, la salma fu trasferita in Adami dove, nella chiesa gremita, il prof. Peppino Scalzo pronunciò un caloroso elogio funebre. E poi, quando il corteo, mestamente avviato lungo la strada che conduce al cimitero di Decollatura, passò sotto la grande quercia della Linza, lo stesso Peppino Scalzo protese una mano verso l’alto e, afferrato un ramo dell’albero, senza staccarlo, lo avvicinò alla bara in cui giaceva Felice, in segno di saluto, proprio come lui aveva immaginato nella poesia dedicata alla quercia.
Liberato dalla morsa, il ramo ritornò al suo posto, a guardare dall’alto Felice che si avviava lungo l’ultimo amaro tratto della sua vita terrena.

Lettera dell'aprile 1953 di Michele Pane a Felice Costanzo

Lettera dell'aprile 1953 di Michele Pane a Felice Costanzo

 

Nei confronti dello zio Michele Pane, Felice ebbe naturalmente stima e ammirazione. Il suo contributo fu fondamentale per portare a termine la pubblicazione della raccolta Musa Silvestre avvenuta a Roma presso l’editore Vittorio Bonacci (di origini decollaturesi) nel 1967. A Felice Costanzo riuscì in quell’occasione di realizzare il progetto editoriale intrapreso dieci anni prima da Gabriele Rocca e Don Luigi Costanzo su sollecitazione di Libertà. Desideravano pubblicare una nuova raccolta antologica dei versi di Michele Pane ma per problemi vari con gli editori e la loro improvvisa scomparsa non si era potuto fino a quel punto realizzazione l’impresa. La produzione letteraria di Felice Costanzo consiste in sedici pubblicazioni, sedici garbati volumetti tutti in formato tascabile, adatti a contenere quasi sempre in un’unica pagina, un’intera poesia, comodi da tenere in mano. I temi sono versi d’occasione (brindisi, auguri per ricorrenze e celebrazioni, ecc.) ma anche ricordi della propria fanciullezza, del paese natale Adami, e anche poesie che sarebbero state adatte a un libro di lettura per le scuole elementari (… quelli di una volta) perché di tono pedagogico e affettuoso, come doveva venirgli naturale per la sua lunga professione di insegnante. E, proprio a questo proposito, si distingue tra i suddetti volumi, quello intitolato «Grammatichetta italiana in versi». L’editore della prima edizione del 1949, Vittorio Bonacci, queste parole: «Questa grammatichetta […] è nata nella scuola e per la scuola, in intima collaborazione con gli stessi alunni i quali – con la festosa accoglienza, con la prontezza del loro esperimento mnemonico, con i loro rinnovati e felici richiami in sede di correzione o di analisi – sono stati gli stimolatori più efficaci del pensoso maestro che ha cercato per loro – unicamente per loro – formule facili, spesso vivaci e scherzose, atte a richiamare regole e norme di solito mal digeribili e astratte». E infatti il maestro Felice si ingegna nel trovare versi per esprimere con puntualità regole e norme su articoli, nomi, verbi, e tutto quello che costituisce il tormento degli scolari:

MODI E TEMPI DEL VERBO

Quattro son modi finiti,
chè l’azione fan precisa;
altri tre gl’indefiniti,
che la lasciano indecisa.

Prima c’è l’indicativo
che ti dona la certezza,
e poi viene il congiuntivo,
che t’esprime dubbiezza.

Dopo il se col CONGIUNTIVO,
MODO C’È condizionale;
SE tuo padre FOSSE vivo,
non STARESTI così male.
………..

e così via, per tutti i tempi del verbo.

A questa prima opera seguì «Juri ‘e luntananza. (Viersi ‘n calavrise)» pubblicata dall’editore Vittorio Bonacci a Roma nel 1958, in cui la presenza dell’impronta dello zio Michele Pane è evidente, a partire dal quel sottotitolo Viersi ‘n calavrise che richiama quello usato da Pane nel 1911 Stroffe ‘ncalavrise. In questo libro è contenuta una delle più famose poesie di Felice Costanzo:

‘A CERZA D’A  LINZA

O cerza, chi arroccata e puterusa
spidi lu vientu fort’’e tramuntana,
‘sta mente te ricorda ed amurusa
se vorge sempr’a ttie chi si’ luntana!

Te guarda cum’’u faru de sarvizza
‘u marinaru adocchia d’intru l’unde,
quandu lu vientu ‘na timpest’attizza
e lle pagure sue se fanu funde.

O vecchia cerza, tu chi fai vidìre
‘ fermu truncu e cime a zumpunìa
allarghi, cumu vrazza pp’accoglire,
accuogli puru ‘sta parola mia!

‘U viernu tu te spùogli pp’alluttare
cchjù forzicuta ccu’ lli brutti vienti;
‘mprimavera pue ‘ncigni a t’adornare,
cà lu bisuognu nuostru già tu sienti!

O cerza rande, sutta ‘ssa friscura
ripara l’agelluzzi ccu’ lli nidi
e glianda duna ed aria frisca e pura:
‘n’âtri mill’anni statti dduve sidi!

L’ùomini moni sempre se faû guerra
ppe’ sse tirare l’anim’e llu core;
tu, chi si’ arradicata forte ‘nterra,
surtantu bene mandi sempre fore!

A ‘ss’umbra tua cuntientu, ‘e quatrariellu,
fùozi scolaru ( e cumu cce tornerra!);
a ‘ss’umbra pue cce fùozi giuveniellu,
de maestru (furnut’’a prima guerra).

E tridici anni cce passai cuntientu,
faciendu, cumu pùotti, ‘u mio duvere;
pue me portàu luntanu ‘n’autru vientu,
ma piensu sempr’a chille primavere!

A ss’umbra pue cce tuornu vecchiariellu
ppe’ te dire ‘st’amara storiella:
– «Tu ere vecchia ed io ‘nu quatrariellu;
mo’ sugnu viecchiu e tu… si’ fort’e bella!» –

A ‘ssu tiermin’e Linza pue te lassu
e me ‘ncaminu ppe’… ‘na brutta via
e quandu ‘ntieri, all’urtimu, te passu,
‘na cima chjca supr’’a vara mia!

'A cerza d''a Linza (La quercia della Linza), Adami

'A cerza d''a Linza (La quercia della Linza), Adami. A sinistra si scorge l'ottocentesco ex edificio delle scuole elementari

L’atmosfera della poesia è quella nostalgica, tipica di molta produzione dello zio Michele. I luoghi di Adami, limitati nel numero ma infiniti nelle combinazioni che riescono a produrre, sono però diversi perché diversa è stata la “lettura del territorio” dei due uomini: separati temporalmente di una generazione e nello spazio dall’infinità oceanica. Felice, in questa poesia, ci parla di una maestosa pianta di quercia che cresceva (e tuttora continua a godere di buona salute) al confine di un terreno detto ’a  linza nelle immediate vicinanze dell’antico edificio della scuola elementare di Adami. La quercia lo ha visto bambino quando andava a scuola, adolescente a sospirare, forse, alla sua ombra, da adulto a insegnare per molti anni in quella stessa scuola. Ora Felice le dice di aspettarlo per l’ultimo, fatale incontro. Quando lui, nella bara, le passerà sotto perché è da lì che passa la strada che dalla chiesa di Adami porta al cimitero, le chiede solo un piccolo segno, in cambio della stima che lui ha avuto per lei: un inchino fatto con un ramo, un ultimo saluto!

E, in qualche modo, così accadrà!

PUBBLICAZIONI DI FELICE COSTANZO

N.

Titolo

Anno

 1

Grammatichetta italiana in versi, Vittorio Bonacci Editore, Roma

1949

 2

 Per ricordare, Gastaldi Editore, Milano

Gennaio 1958

 3

 Juri ‘e luntananza (Viersi ‘n calavrise), Vittorio Bonacci Editore, Roma

Maggio 1958

 4

 Piccole cose (poesiole per piccoli), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia     Terme

1967

 5

 Altri Ricordi…, Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme

1967

 6

 Juri tardivi (viersi ‘n calavrise), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia  Terme

1967

 7

 Urtimi Juri (viersi ‘n calavrise), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme

1971

 8

 Ultimi Ricordi (poesie in lingua italiana), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme

1971

 9

 Urtimi Juri (aggiunte), Rubbettino, Soveria M.lli

1975

 10

 Ultimi Ricordi (aggiunte), Rubbettino, Soveria M.lli

1975

 11

 Ultimi Ricordi (altre aggiunte), Rubbettino, Soveria M.lli

1978

 12

 Grammatichetta italiana in versi, Tip. Olimpica, Roma (ristampa con aggiunte)

1979

 13

 Ultimissimi ricordi e juri, Grafica Reventino, Decollatura

1979

 14

…Juri. Estratto da ULTIMISSIMI RICORDI E JURI, Grafica Reventino, Decollatura,

1979 (?)

 15

 Ancora ricordi…, Rubbettino, Soveria M.lli,

1982

 16

 Dalle origini… (ricordi di famiglia), Rubbettino, Soveria M.lli

1983

Qui di seguito presento le copertine di tutte le pubblicazioni di Felice Costanzo e, per ciascuna di esse, anche alcune pagine:

Ringrazio vivamente le figlie Rachele e Grazia Costanzo per le informazioni e il materiale fornito.

Copyright © 2012 Giuseppe Musolino

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Michele Pane al «Maggio dei libri» a Lamezia Terme

Nel quadro della manifestazione «Maggio dei libri» che la Biblioteca di Lamezia Terme ha presentato lo scorso 23 aprile, una giornata sarà dedicata all’opera «Michele Pane. La vita» di Giuseppe Musolino.

Il «Maggio dei libri» è promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed è giunto alla seconda edizione. Il Comune di Lamezia Terme, grazie al particolare impegno della dott.ssa Claudia Brunetti, funzionaria responsabile dell’Ufficio Beni e Istituzioni Culturali, ha ampliato molto il calendario degli eventi che va dal 24 aprile fino al 31 maggio.

Locandina

Locandina

La confererenza stampa si è svolta nella sala della Biblioteca Comunale al Palazzo Nicotera, dove avverranno le “conversazioni” con gli autori dei libri selezionati. Il Vicesindaco Francesco Cicione ha illustrato l’iniziativa che, come ha spiegato la dott.ssa Brunetti, è stata resa possibile anche grazie all’impegno di molti volontari che sono vicini alla Biblioteca Comunale di Lamezia Terme.

Conferenza stampa
Conferenza stampa

Di Michele Pane si parlerà il giorno 24 maggio 2012, alle ore 18,30, quando la prof.ssa Giovanna De Sensi Sestito converserà con Giuseppe Musolino sulla biografia «Michele Pane. La vita».

Palazzo Nicotera, sede della Biblioteca Comunale di Lamezia Terme

Palazzo Nicotera, sede della Biblioteca Comunale di Lamezia Terme

Questo è il link per il sito ufficiale nazionale della rassegna «Il Maggio dei libri»

 

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Omaggio a Michele Pane al Terrazzo Pellegrini di Cosenza

Omaggio a Michele Pane al Terrazzo Pellegrini di Cosenza

Ieri 11 aprile 2012 una manifestazione in omaggio a Michele Pane si è svolta nella prestigiosa sede del «Terrazzo Pellegrini» di Cosenza. A volerla e ad organizzarla è stata l’Associazione I 13 Canali di Cosenza (link al sito), nata con il preciso scopo di difendere e valorizzare il patrimonio culturale del dialetto.

Omaggio a Michele Pane

La manifestazione è iniziata con il saluto di benvenuto della responsabile della Casa Editrice Pellegrini — presso cui ha sede ufficiale l’Associazione I 13 Canali — seguito dall’intervento del prof. Mario Iazzolino, Presidente della stessa. Il professore ha ricordato le finalità del lavoro del gruppo che coordina ed ha svolto una dotta dissertazione sul rapporto linguaggio-lingua nazionale-dialetto che a breve metterà a disposizione del pubblico sul sito dell’Associazione.

Musolino, Ferlaino, Iazzolino, Calomino

Musolino, Ferlaino, Iazzolino, Calomino

E’ stata poi la volta del prof. Franco Ferlaino, Cultore di Etnologia presso l’Università della Calabria, che ha trattato della biografia di Michele Pane, soprattutto per alcuni aspetti della sua formazione scolastica e umana, alla luce delle novità contenute nella biografia sul poeta scritta da Giuseppe Musolino. Ferlaino ha evidenziato l’importanza del minuzioso lavoro svolto dall’autore, definendolo, come già aveva fatto, un lavoro di “carotaggio” attraverso la vita, la società, le persone, gli usi, i luoghi che hanno avuto a che fare con Michele Pane.

Omaggio a Michele Pane

Il prof. Giuseppe Musolino, autore della biografia Michele Pane. La vita, ha parlato della vita e dell’opera di Michele Pane avvalendosi della presentazione di materiale documentario e fotografico inedito, molto apprezzato dal numeroso e competente pubblico intervenuto.

Omaggio a Michele Pane

Nel corso della manifestazione ci sono stati degli intermezzi con la lettura delle poesie di Michele Pane da parte di alcuni appassionati componenti dell’Associazione, che hanno nel piacere di leggere per sè e agli altri le poesie dialettali, uno dei motivi principali per lo stare insieme. Il prof. Franco Calomino ha letto I tumbari, Ciccio De Rose Cuntrattu, Antonio Martire Maju e Maria Luigia Campolongo ha concluso con una partecipata e apprezzatissima lettura di Tora, ‘A serenata e ‘A catarra.

 

Leggono le poesie: Campolongo, Colamino, De Rose, Martire

Leggono le poesie: Campolongo, Colamino, De Rose, Martire

Altre immagini della manifestazione nella Photogallery a questo link.

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Azzarelleide

Azzarelleide è un poemetto pubblicato per la prima volta in Viole e ortiche nel 1906 ma era stato composto già da molti anni. Lo testimoniano innanzitutto la pubblicità in quarta di copertina di Trilogia  pubblicata nel 1901 in cui si legge «Di prossima pubblicazione: Azzarelleide (Vrogniata in la maggiore)».

Quarta di copertina di Trilogia

Quarta di copertina di Trilogia

Non si è molto lontani dalla verità se si ipotizza che Azzarelleide sia stata composto nello stesso periodo de L’uominu russu con il quale condivide le stesse tematiche e, forse, anche gli stessi personaggi.

In Viole e ortiche fa parte di Ortiche,  e quindi si pone nel filone delle opere contro gli uomini malvagi e ingordi, che approfittano della loro posizione per curare i propri affari andando contro moralità e giustizia.

Azzarelleide

Azzarelleide

E veniamo al merito dell’opera. Innanzitutto, il titolo. E’ evidente il riferimento ad un’opera epica suggerito dal suffisso -eide che vuole richiamare l’Eneide o forse anche l’irriverente Ceceide di Vincenzo Ammirà. Il personaggio di cui si narrano le “eroiche” vicende è Azzarielllu, quarto figlio nientemeno che di Marte! Pane si riferisce sicuramente a un’altra persona, un uomo in carne e ossa che si vuole prendere in giro — come era accaduto con L’uominu russu — ma di chi si possa trattare è un vero mistero. Forse i contemporanei avrebbero potuto capirlo da qualche riferimento che però ormai è troppo difficile, anzi impossibile, decodificare.

Soffermandosi sul sottotitolo «Vrogniàta in La maggiore» c’è già di che scrivere e approfondire.
La vrogniàta: ma che cos’è? E’ una parola inventata da Michele Pane stesso a partire da vrogna. La vrogna (“brogna” in italiano) è uno strumento musicale primitivo, una grande conchiglia usata come corno. In genere si usava il guscio del Triton nodiferum, un mollusco che arriva alle dimensioni di 30-40 cm, che la mitologia vuole venisse usato da Tritone per agitare o placare le acque. Ne è un esempio la statua della fontana del Tritone di Bernini in Piazza Barberini a Roma in cui Tritone è rappresentato nell’atto di soffiare dentro una «vrogna» detta anche «buccina» (da bocca) dalla quale scaturisce uno zampillo d’acqua.

Fontana del Tritone - Roma

Fontana del Tritone - Roma

La vrogna è uno strumento usato originariamente da popolazioni costiere, successivamente passato in uso anche alle popolazioni dei paesi interni. Qui, poi, data la difficoltà di procurarsi la conchiglia, è stato lentamente sostituito da uno strumento simile ricavato dal corno di animali come i bovini che nelle antiche razze ne avevano di giganteschi. Il suono che produce la vrogna è una bassa tonalità che però ha la caratteristica di propagarsi per lunghe distanze, caratteristica che condivide con il corno alpino (quella specie di pipa lunghissima), e tutti gli altri corni usati specialmente nelle montagne come mezzo di comunicazione tra persone (specialmente come segnale di pericolo o dare il via a qualche attività) o per richiamo delle greggi.

porcaro

Il custode dei maiali mentre suona la "vrogna"

Ecco un esempio del suono di una «vrogna» (registrazione del 1961 eseguita a Siracusa):

 

Un interessante collegamento con la «vrogna» esiste nell’etimologia del nome del paese di Brognaturo, in provincia di Vibo Valentia, nel quale è evidente il nesso tra lo strumento e il nome proprio della località derivato dalla circostanza di essere un luogo in cui venivano pascolati allo stato brado animali (verosimilmente maiali) che poi venivano richiamati con l’apposito strumento (vedi l’interessante studio pubblicato qui)

Suonare la vrogna si dice vrogniare, come faceva il pastore o il porcaro che andavano suonando il corno per le campagne per richiamare e radunare i propri animali. Da qui è nato l’uso figurato del verbo vrogniare che equivale ad «andare a strombazzare» cioè ad andare in giro raccontando ad alta voce cose poco edificanti nei riguardi di qualcuno. Insomma «svergognare», che poi è l’intento di Michele Pane.

La parte I, dopo la dedica, inizia con questi versi:

Mo’ s’ùsanu le trumbe ed è vrigogna

         sonare chista marcia ccu’ lla vrogna.

E qui inizia la narrazione delle vicende del personaggio cui è dedicata l’opera,  Azzariellu, a partire dai suoi natali fino alle imprese più inverosimili che avrebbe compiuto.
Il nome Azzariellu è il diminutivo di azzaru, “acciaio”, quindi dovrebbe un uomo forte e coraggioso, ma non è così come si vede dalle sue gesta donchisciottesche.
Commentare tutto il poemetto è un’impresa che esula dai fini di questo sito anche perché, come detto sopra, i riferimenti a persone e fatti sono troppo oscuri e nessuno ha mai tentato l’impresa di scavare a fondo nei versi per arrivare a ciò che vi si nasconde. Quel che si può fare qui è fornire un riassunto delle strofe sperando che prima o poi qualcosa in più, oltre il significato letterale, si riesca a decifrare.

AZZARELLEIDE

I

Azzariellu, figlio di Marte, era l’ultimo di quattro fratelli. Il primo si chiamava Spavìentu (Spavento), era veloce più del vento proprio come un uccello rapace.
Ma era avvezzo al vino che preferiva alla lotta e perciò il padre non ne era molto contento.
Il secondo fratello si chiamava Cacacchiu (Fifa) ed era abilissimo nel tiro col fucile. Se andava a caccia, il sangue scorreva a fiumi ma anche di lui il padre era scontento per motivi che non si possono dire (così afferma il poeta).
Il terzo si chiamava Fracassa, grande raccontatore di frottole fin da piccolo e quindi il padre non se la sentì di affidargli il comando delle squadre militari che aveva ai suoi ordini.
E infatti il compito di comandare tali squadre di uomini  fu affidato all’ultimo nato, proprio l’Azzariellu cui è dedicata l’opera.

II

Azzariellu dunque si veste d’autorità e al comando della gente che aveva provveduto ad arruolare (suonando la vrogna per richiamare l’attenzione).
Nei versi seguenti Michele Pane descrive le iperboliche dimensioni degli accessori militareschi di cui si dota Azzariellu: spada di un quintale, giberna fatta con la pelle di un’intera cavalla, capace di contenere pane quanto se ne produce in quattro forni, pallottole quanto una braciola (crocchetta), ecc.
Così munito va all’attacco del Drago, un terribile mostro dalle sette teste, che si nascondeva in una grotta nella località Sorbello, una zona nei pressi dell’allora frazione Passaggio di Decollatura.
Il perchè della scelta di questa località è impossibile da comprendere con quanto sappiamo (anzi non sappiamo) oggi.

III

Azzariellu giunge quindi all’ingresso della grotta da dove il Drago, vedendolo arrivare, era già morto dalla paura.
Entra nella grotta il Capitano Azzariellu, pistola in mano, e alla luce della candela accesa dall’aiutante di campo (lo schiavo —scavu— è scritto nei versi) appare il Drago morto per il terrore.
Azzariellu ordina all’aiutante di scuoiare il mostro dopo che egli stesso con la spada lo ha diviso in due.
Quel cuoio servì poi per confezionare una pelliccia per un tale che indossandola acquisisce poteri sovrumani e vince tutte le cause, essendo un avvocato e, forse, anche un politico.
Con questo riferimento esce allo scoperto Michele Pane, rendendo esplicito (lo fa ancora di più nei versi seguenti) il riferimento ad uomini avidi e ingordi, in qualche modo contigui al potere che ha in mano il Comune di Decollatura in quel momento. E infatti, squartando e sezionando la bestia immonda, Azzariellu trova in una piega del gigantesco intestino, nientemeno che un intero edificio, il Municipio! Era stato completamente spolpato dal mostro!
Per portarli in omaggio agli altri suoi amici, Azzariellu fa staccare dal corpo del Drago un orecchio, del grasso per ungere stivali, ecc.

IV

Il successo di Azzariellu non fu però completo. Mancava all’appello il tesoro che tuttora lì rimane protetto da un incantesimo.
Dopo aver preso quel che gli serviva, Azzariellu fece rotolare fuori dalla grotta, giù per il pendio, i resti del mostro e solo rimase nella grotta un grosso dente.
Ed è quel dente che il cane del poeta trovò quando, inseguendo un furetto, si addentrò nella grotta.
Oggi, quel dente aguzzo, “lo uso io” — dice il poeta—. Per pungiglione!

 

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