‘A fòcara

‘A fòcara

‘A focara è una delle poesie più famose di Michele Pane, pubblicata per la prima volta in Viole e ortiche nel 1906.

Ma quanti sanno esattamente che cos’è la fòcara?
Innanzitutto, ricordiamo che la parola si pronuncia con la  f  iniziale aspirata come la “c” toscana di casa o la h inglese di home. Questa particolare pronuncia, oggetto nel passato di molte discussioni su come si debba tradurre nella scrittura, ha spesso portato al grave errore di inserire una h dopo la  f  (fhocara) o addirittura di usare la lettera h al posto della f.

Questi modi errati di scrivere erano stati già trattati dal prof. Luigi Accattatis nella prefazione al suo famoso Vocabolario del dialetto calabrese e ribaditi nell’appendice a Viole e ortiche (1906) in cui Michele Pane pubblica una nota dell’Accattatis sulla sua poesia. Le parole di Accattatis sono esplicite: «Il delirio di alcuni bravi scrittori calabresi è arrivato fino al punto di scrivere huocu, hidile, hocara, ecc. per rendere il suono aspirato che la labio dentale f  ha in Panettieri ed in altri paesi del cosentino, senza nè meno avvertire i lettori che quella h iniziale sta in sostituzione della lettera f, onde è a leggersi fuocu, fidile, fòcara.» (vedi G. Musolino, Michele Pane. La vita, pp. 77-78).

'A fòcara

Per quanto riguarda l’etimologia di fòcara, ovviamente all’origine c’è il latino focus, da cui focàra che è una specie di braciere. Il nostro fòcara è usato solo in Puglia, precisamente nel Salento, con lo stesso significato di grande fuoco acceso all’aperto, e in Sicilia. Come curiosità ricordo che focora, col significato di plurale di “fuochi”, è una delle prime parole che compaiono nella lingua scritta cosiddetta del volgare italiano, poichè la usa Cielo d’Alcamo nel Contrasto:

«Rosa fresca aulentissima, ch’appari inverso state,
le donne ti disirano, pulzell’e maritate!
Traimi de ’ste focora, se t’este a bolontate,
perché non aio abento notte e dia
penzanno pur di voi, madonna mia».

Questo stesso secondo verso di Contrasto che contiene la parola focora, è citato da Dante Alighieri nel De Vulgari Eloquentia (I, XII) (riportato nella forma «Tragemi d’este focora se t’este a boluntate») come esempio del pessimo giudizio che aveva della parlata siciliana per la lentezza del ritmo.

Ma torniamo alla fòcara. Si tratta di un grande falò che si accende la sera della vigilia di Natale e che poi viene mantenuto in vita e ravvivato la notte dell’ultimo dell’anno e dell’Epifania. Un grande fuoco all’aperto, quindi, come lo si ritrova nelle tradizioni popolari di molti paesi europei in corrispondenza del giorno più corto dell’anno ma anche in altri periodi.
L’origine della tradizione è certamente pagana, come tanti altri riti e tradizioni che le religioni hanno assorbito e rielaborato, ma qui quello che più interessa è l’aspetto antropologico della fòcara, cioé come è stato rielaborato e vissuto nelle comunità calabresi in generale e in particolare in Decollatura.

La materia prima consisteva principalmente in ceppi di castagno, quasi sempre la parte che rimaneva nel terreno dopo aver tagliato un albero. Si tratta di un intrico di radici in cui rimane molta terra e il colletto del tronco appena accennato. Non si può parlare di materiale di scarto poiché, nei tempi antichi, anche l’apparato radicale degli alberi veniva utilizzato come legna da fuoco, dopo aver scavato il terreno tutto intorno al punto di taglio, che sfiorava il terreno, e, a volte, anche al di sotto. Nessuno si poteva permettere il lusso di lasciare marcire nel terreno qualche quintale di legno in tempi in cui l’unica fonte di combustibile era il legno secco che cadeva dagli alberi dopo un temporale, diritto riconosciuto agli abitanti dei paesi montani sui terreni dei feudatari con il nome legnare a morto, ossia diritto alla raccolta dei rami secchi spontaneamente caduti dagli alberi. C’era poco altro da bruciare: le frasche (fascine di rami secchi), le poche reperibili, servivano per ardere il forno; le stoppie dei lupini occorrevano per le riparazioni annuali del pagliaio; dei tronchi degli alberi, non è neanche il caso di parlarne: chi avrebbe mai tagliato un albero, privandosi di una fonte di cibo? Oltretutto – e ciò sembra inverosimile – il paesaggio dei tempi passati era molto più spoglio di quello di oggi! Nei terreni coltivabili non erano tollerati alberi che, facendo ombra, avrebbero ridotto la produzione del campo e quindi non se ne piantavano, o meglio, c’erano pochi, alti, immensi alberi di pirajina  o di melo, tanto alti che la loro ombra si distribuiva su una grande area e quindi dava poco disturbo al raccolto. Non c’erano luoghi incolti in cui potevano essere trovati arbusti o altro materiale vegetale. Gli alberi, i pochi tollerati lungo gli argini dei fiumi o nel bosco, erano potati fino ad altezze inverosimili durante l’estate per dare da mangiare alle capre. Restavano quindi le radici degli alberi abbattuti dalle intemperie, quelli trasportati dalla corrente dei fiumi, quelli i cui proprietari non avevano vigilato abbastanza…

I ceppi, chiamati zucchi in dialetto decollaturese, dovevano dunque essere raccolti lontano, nei boschi o vicino ai fiumi, e trasportati su un rudimentale carro fino alla piazza della frazione di appartenenza dei volontari. Il lavoro necessario per togliere il ceppo con tutte le radici dalla terra e per portarlo a destinazione avrebbe scoraggiato chiunque. Ed è proprio in questo aspetto che, tentando un’analisi antropologica della fòcara, si possono trovare gli elementi per dare un’interpretazione plausibile sulla sua origine e significato. Il punto di partenza è che le radici e la parte di tronco rimasti sottoterra impediscono la lavorazione e la semina del terreno e inoltre, particolarmente nel caso del castagno, non marciscono che dopo moltissimi anni. La cooperazione di tante persone nell’improbo lavoro di estrazione ed eliminazione delle ceppaie di castagno è da considerarsi un’opera positiva poichè una volta l’anno i boschi, e comunque i terreni in genere, venivano ripuliti da queste ingombranti e moleste presenze. Se poi vogliamo andare ancora più indietro nel tempo, fino al medioevo e poi ancora prima, dobbiamo ricordare una delle tecniche primitive di coltivazione: la cosiddetta cesina.

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Parco Letterario-Storico-Paesaggistico di Adami

Parco Letterario-Storico-Paesaggistico di Adami

Oggi pomeriggio, 18 dicembre 2011, alle ore 18,00, nel centro storico di Adami nel comune di Decollatura, è stata inaugurata la sede del Parco Letterario-Storico-Paesaggistico di Adami con la mostra dal titolo “Michele Pane, un poeta, il ricordo nel presente“. Il sottotitolo “Esposizione di opere e carte autografe” fa capire immediatamente che si tratta di una pregevole esposizione di documenti originali riguardanti il massimo poeta calabrese Michele Pane. Ma andiamo con ordine, raccontando lo svolgimento della memorabile serata.

 

Parco Letterario-Storico-Paesaggistico di Adami

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Parco Letterario-Storico-Paesaggistico di Adami nasce nel luglio del 2009 come associazione per la valorizzazione del territorio che ha come centro Adami nel comune di Decollatura, provincia di Catanzaro. Si tratta di un luogo unico che unisce straordinarie risorse ambientali, umane e culturali tali da aver indotto il prof. Musolino, autore di queste note e del libro Michele Pane. La vita, durante la presentazione del volume il 13 agosto nella Sala Consiliare di Decollatura, a coniare l’espressione “Il più poetico ed eroico miglio quadrato d’Italia“. L’espressione era piaciuta molto già da allora al presidente del Parco arch. Luigi Adamo che spesso, orgogliosamente, la ripete. L’espressione, modestamente ispirata a quella usata da D’Annunzio per il lungomare di Reggio Calabria, è però giustificata se si considera che entro il fatidico quadrato, nacquero ed operarono personaggi dello spessore di Michele Pane, don Luigi Costanzo, Francesco e Vincenzo Stocco, il poeta Felice Costanzo – nipote di Michele Pane – e poi vi avvenne la la liberazione di Vincenzo Stocco ad opera di Salvatore e Francesco Saverio Pane (padre e zio di Michele) e la resa dell’esercito borbonico nel 1860, tappa fondamentale del processo che porterà all’Unità d’Italia.

Vico I Michele Pane

Il Parco aveva  già promosso attività culturali ma a questo punto c’era bisogno di una sede stabile in cui organizzare la struttura dell’associazione e anche istituire il primo nucleo di una mostra permanente. Come sede, grazie alla disponibilità della famiglia Adamo attualmente residente in Firenze, è stata ottenuta gratuitamente una casa nel centro storico di Adami, nel Vico I Michele Pane (e già se ne comprende il valore ambientale). Non è solo l’indirizzo a dare valore alla sede ma, in un paese in cui tutto è storia, anche la sua origine poiché quella casa era stata la casa di Marianna Pane, sorella di Michele, che aveva sposato Giuseppe Adamo, e dei quali sono discendenti gli attuali proprietari. E ancora aggiungiamo che quella casa fu per molti anni sede dell’ufficio postale di Adami, e dunque da quella stanza posta al piano rialzato a cui si accede con una scaletta esterna, passò tutta la corrispondenza di Michele Pane per i suoi parenti  e quella di e per don Luigi Costanzo.

I volontari dell’associazione Parco per molto tempo hanno lavorato per sistemare la casa che era chiusa da molto tempo e poi per raccogliere e preparare gli oggetti e i documenti da esporre. E infine, questa sera, l’inaugurazione:

Inaugurazione

Il Sindaco Anna Maria Cardamone e il Presidente del Parco Luigi Adamo

 

Inaugurazione

Il Sindaco Anna M. Cardamone, il Presidente del Parco Luigi Adamo e Padre Benedetto Marani

Nel discorso d’inaugurazione il Presidente Luigi Adamo ha ringraziato tutto il direttivo del Parco, gli iscritti e le loro famiglie che hanno contribuito alla realizzazione del  progetto che ha come scopo anche quello di attirare l’attenzione su un paese che rischia di spopolarsi completamente e che invece meriterebbe di vivere un’inversione di tendenza per l’alta qualità della vita che ancora oggi vi si può trovare. Il Sindaco di Decollatura, Anna Maria Cardamone, ha fatto i suoi complimenti al Parco che ha realizzato una lodevole iniziativa ed ha ricordato che la sua Amministrazione non solo sostiene chi si attiva per il bene comune ma che lei stessa oggi pomeriggio aveva appena festeggiato con amministratori e cittadini la riapertura al pubblico del Museo della Nostra Terra, un museo civico di storia e tradizioni popolari che condivide con il Parco gli stessi obiettivi di valorizzazione del territorio e il ruolo di stimolo per l’indotto nel settore turistico.

E infine, prima del taglio del nastro, la benedizione dei locali da parte di Padre Benedetto Marani che regge attualmente la Parrocchia di Adami.

Ecco il filmato che documenta (in parte) la cerimonia d’inaugurazione:

Poi tutti a visitare la casa che è già di per sè un bene museale: scale in legno, pavimenti in cemento liscio decorato con incisioni, porte con maniglie d’epoca e poi il tepore che, anche in una  fredda serata invernale a 800 metri di quota, si avvertiva, forse per le pareti di grande spessore o forse anche per la magia della presenza dell’uomo che permane in un luogo anche dopo anni che è rimasto disabitato.

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