Felice Costanzo
Scritto on 12 Mag, 2012 in News, Felice Costanzo | 0 commenti
Felice Costanzo
di Giuseppe Musolino
Felice Costanzo è uno dei nipoti di Michele Pane, figlio della sorella Nicolina (1853-1896). Lo includo in questa sezione, quella destinata agli “Amici” del poeta, poiché il suo rapporto col celebre zio non è solo di carattere familiare ma, ad un certo punto della vita di Felice, si trasforma in un rapporto amicale e quasi tra “colleghi” per l’interesse che il giovane manifesta per la scrittura e la poesia, insomma per quello che era il mestiere dello zio. Tra loro quindi nasce una corrispondenza che unisce temi di argomento personale e familiare a temi culturali. Ma cominciamo dall’inizio.
La maggior parte delle notizie familiari di Felice Costanzo le possiamo trarre dal suo volume Dalle origini… (ricordi di famiglia) pubblicato da Rubbettino nel 1983, nel quale egli raccoglie dati, informazioni e aneddoti sulla vita dei suoi antenati e sulla sua personale.
Il volumetto inizia con le più antiche notizie relative ai suoi avi secondo cui i Costanzo della provincia di Catanzaro – in particolare di Nicastro – sarebbero stati originari di Pedivigliano e prima ancora di Cosenza, dove erano giunti provenendo da Napoli. Il più antico personaggio della famiglia che Felice riesce a ricordare è il prozio Don Pasquale Costanzo, fratello del nonno Felice, che era stato per anni parroco a Bella (frazione di Nicastro, ora Lamezia Terme) e solo intorno ai 60 anni d’età giunse ad avere assegnata la parrocchia del suo paese di Adami.
Il nonno Felice, di cui il Nostro era orgoglioso di portare lo stesso nome, morì quando il nipotino aveva solo un anno. Ma nel paese poté ascoltare per molto tempo le lodi per quell’uomo laborioso che dedicava tutte le sue energie alle attività connesse con la gestione dei molti terreni che aveva acquistato con le sue risorse e con l’aiuto del fratello parroco.
In casa con il nonno Felice viveva una sorella, Grazia, che non avendo sposato era rimasta in casa a coadiuvare la famiglia. In questo periodo la famiglia Costanzo ebbe la sua massima ascesa economica che porterà le generazioni successive a potersi permettere uno dei lussi più rari per l’epoca, e cioè l’accesso all’istruzione.
Dal nonno Felice e dalla moglie Rachele Grandinetti nacquero Rosario (morto giovane), Giovanni e Gabriele. Gli ultimi due furono mandati a Nicastro per frequentare le prime tre classi del Ginnasio.
Assolto il servizio militare, Giovanni aiuta la famiglia nella gestione dell’azienda familiare che, come detto, aveva bisogno di una buona organizzazione date le dimensioni che aveva raggiunto.
Arriva poco dopo il momento di prendere moglie e la scelta cade su una giovane appartenente a una famiglia di buone condizioni economiche: Nicolina Pane, la sorella maggiore di Michele Pane.
Da Giovanni e Nicolina nacquero numerosi figli di cui sopravvissero solo cinque. L’ultimo nato fu Felice Costanzo che vide la luce il 6 aprile 1894. Il destino però lo privò presto della madre che, a poco più di quarant’anni d’età, morì quando il bambino aveva solo un anno e mezzo. Per il piccolo Felice si rese necessario ricorrere a una balia che fu trovata nel suo stesso paese e poi a un’altra originaria di Motta S. Lucia che si trasferì nella casa del bambino. Qui, dopo la morte della madre, si era venuta a creare una grande famiglia di cui facevano parte i cinque figli, il padre Giovanni, il prozio parroco Don Pasquale, la prozia Grazia (“monaca di casa”), la nonna Rachele e un’altra prozia, Innocenza. Felice Costanzo fu tenuto a battesimo dallo zio Michele Pane nel mese di aprile 1894, poco prima della sua partenza per l’America. Di questo legame lo zio avrà sempre memoria in lettere e poesie.
Poco distante dalla casa paterna di Felice, viveva la nonna materna Serafina Fiorentino. Dalla nonna Serafina andava più raramente, anche perché le distanze che oggi appaiono irrilevanti un tempo erano percepite come maggiori, soprattutto per le cattive condizioni delle strade. I Costanzo vivevano nella borgata chiamata Censo mentre i Pane avevano la casa nel centro di Adami, vicino la chiesa: la distanza era di circa 500 metri.
Quando i nipoti Costanzo andavano dalla nonna Serafina, lei li accoglieva con amore e dolcezza, di solito nella grande cucina, quella in cui c’era il focolare e “ ‘u cippariellu” in cui da bambino si sedeva il figlio Michele, figlio di cui lei parlava in continuazione insieme agli altri personaggi della sua famiglia, primo fra tutti il fratello filosofo Francesco che ogni tanto si recava in Adami a farle visita e a giocare a “tressette” nella cantina che i Pane gestivano.
La sorella maggiore Grazia fu per il piccolo Felice come una seconda madre. Si prese cura amorevolmente dei fratelli e degli altri familiari che vivevano nella stessa casa. Ma anche per lei era in agguato un triste destino poiché prematuramente morì in seguito alle complicanze del morbillo.
Ad occuparsi dei fratelli più piccoli toccò allora all’altra sorella Innocenza che doveva anche provvedere (insieme ad altre parenti o a persone di servizio) alle altre esigenze della famiglia come quella di preparare da mangiare per i molti lavoranti necessari per la gestione delle proprietà di famiglia e ai quali si dovevano somministrare – secondo la consuetudine – più pasti al giorno (la mattina presto, a metà mattinata, a pranzo, e qualche volta anche la sera).
Nel frattempo Felice e Pasquale completarono gli studi a Nicastro (1911) e Innocenza poté distaccarsi dalla famiglia e sposare Ernesto Paola di Conflenti dove si trasferì. Ma la povera Innocenza non ebbe fortuna perché morì poco dopo, all’età di 31 anni, per le conseguenze di uno sfortunato parto.
Intanto Felice Costanzo aveva continuato gli studi a Nicastro e, successivamente, presso il convitto di Scigliano, in provincia di Cosenza. Il percorso da Adami a Scigliano, ricorda Felice nel citato libro di memorie, era disagevole perché in mancanza di treno — che verrà molti anni dopo — doveva essere fatto sul dorso di asino o addirittura a piedi. Da Scigliano passò a Catanzaro al Liceo-Ginnasio Galluppi e dopo ancora alla Scuola Normale di Lacedonia. Qui nel 1911 conseguì il diploma e l’abilitazione Magistrale dopo tre anni di permanenza nel centro avellinese.
Tornato nel suo paese natale, festeggiato da parenti e amici per il prestigioso risultato conseguito, si diede subito da fare per ottenere un incarico di insegnamento. E questo arrivò presto, il primo di ottobre di quello stesso 1911, presso la scuola elementare di Curinga. Accompagnato dal padre Giovanni e dallo zio farmacista Luigi Pane, Felice raggiunse la sede assegnatagli, ma poco dopo dovette lasciarla perché un altro aspirante aveva promosso un ricorso — fondato — in quanto egli non aveva ancora compiuto la maggiore età e quindi non poteva essere assunto.
Il primo vero anno di servizio inizierà nel dicembre del 1912 nel comune di Gizzeria dove Felice prenderà casa e abiterà per qualche anno.
Arrivò presto la mobilitazione per la guerra e Felice Costanzo dovette forzatamente vestire la divisa e partire per il fronte. La sua zona di destinazione era sul Lago di Garda e poi nella zona delle operazioni dove prestò servizio nel lavoro d’ufficio negli ospedali militari. Dopo la disfatta di Caporetto vagò per qualche giorno e poi fu destinato ad insegnare nelle zone di guerra.
Ammalatosi di “spagnola” fu ricoverato nell’ospedale di Udine e successivamente destinato all’ospedale militare di Catanzaro per la convalescenza. Da qui fu destinato a Palermo finché nell’agosto del 1919 ritornò definitivamente al suo paese di Adami.
Dalle fotografie del fronte di guerra che Felice Costanzo conservò come ricordo, si può notare la grande somiglianza dei lineamenti del viso e del portamento che Felice ha con lo zio Michele, specialmente se confrontate con le prime fotografie americane di Michele Pane quando aveva la stessa età di Felice soldato. La somiglianza si conserverà anche negli anni seguenti, tanto da indurre Gabriele Rocca, quando per una grave malattia si era recato a Roma per cure e dove poi morirà, incontrando Felice gli disse: «Tu a Michele tutt’assomigli ‘e facc’e de statura!» (così nella poesia Per il trigesimo di Gabriele Rocca, in “Juri ‘e luntananza”, 1958).
Dal primo ottobre 1919 prese servizio d’insegnante nella scuola elementare di Soveria Mannelli, sede che raggiungeva in bicicletta o a piedi.
In quei primi anni del dopoguerra, nei pomeriggi liberi dal lavoro scolastico, si dedicava a dirigere i lavori di risistemazione della casa paterna e delle proprietà agricole, anche perché stava per conquistare una nuova tappa della sua vita: il matrimonio.
Il 18 agosto 1920 Felice sposa Raffaela Costanzo, sorella di Don Luigi e di Rosarino, amici fra i più sinceri e duraturi di Michele Pane. Dalla coppia nasceranno quattro figli: Innocenza, Achille e le gemelle Grazia e Rachele mentre Felice riesce ad ottenere pian piano l’avvicinamento della sede di servizio prima a Liardi e poi ad Adami.
Passano gli anni e Felice pensa che per garantire ai figli migliori opportunità di studio, sarebbe stato utile trasferire tutta la famiglia in una grande città.
Si pensa a Roma dove il cognato Don Luigi avrebbe avuto la possibilità di aiutarli nella sistemazione. E infatti così accadrà, nel 1936, esattamante l’11 febbraio. Dapprima vi si trasferisce il solo Felice raggiunto dopo pochi mesi dal resto della famiglia che si sistemò a Ostia Antica.
Superati, indenne, i rapporti con i gerarchi fascisti che ogni tanto gli si avvicinavano per rimproverargli il suo scarso “attaccamento” al partito — giunsero a quasi ottenerne il licenziamento — la vita nella città di Ostia Antica proseguì tranquillamente, con il suo impegno nel lavoro e i figli che progredivano negli studi.
Tutti gli anni, durante le vacanze estive, la famiglia Costanzo si trasferiva nel natio paese di Adami. L’evento era così sistematico che Felice Costanzo — unico caso noto!— negli anni successivi scriverà nelle prime pagine dei libri pubblicati l’indirizzo “abituale”, cioè quello di Roma (dove andrà a vivere) e quello “estivo (luglio-agosto)” di Adami, inclusi i numeri di telefono.
Nel 1943 la partenza per le vacanze estive avvenne prima del previsto perché, per l’incalzare degli eventi bellici, la chiusura delle scuole fu anticipata e la famiglia partì per Adami già alla metà di giugno. Si pensava a una breve permanenza nella casa natale, per cui furono portati meno bagagli del solito, lasciando tutto nella casa di Ostia, come per una breve assenza. E invece le cose andarono diversamente, poiché la zona di Ostia fu sfollata e nessuno poteva tornare nella propria casa.
Passarono così due anni di angoscia per la situazione bellica che anche in Calabria faceva sentire il suo peso ma, soprattutto, per il destino della casa ostiense abbandonata a se stessa.
Nei seguenti due anni scolastici di forzata permanenza in Calabria, il 1943-44 e 1944-45, Felice Costanzo insegnò nella scuola elementare di Adami, con grande piacere, se non fosse stato per i timori su ciò che forse stava capitando alla sua casa di Ostia.
In quegli stessi anni le figlie Rachele e Grazia, frequentarono il 4° e 5° ginnasio al Galluppi di Catanzaro ospiti, insieme alla madre, del loro zio Don Luigi Costanzo che a Catanzaro era stato nominato Provveditore agli Studi dal Comando degli Alleati, dopo il loro sbarco in Sicilia. Achille invece frequenta il 3° anno al Liceo Fiorentino di Nicastro. Cenza, che aveva già conseguito la licenza liceale, resta in Adami con il padre e la fedelissima domestica Sandrina.
Anche in Adami ci fu qualche apprensione per i pericoli della guerra. Intorno alla zona di Adami-Liardi si trovava una postazione della contraerea tedesca che veniva presa di mira dagli aerei degli Alleati. Durante il giorno, quando gli aerei si facevano minacciosi nel cielo, gli abitanti di Adami lasciavano le loro case e si inoltravano nei vicini boschi, nascondendosi alla vista di eventuali incursori.
Nel maggio del 1945, ottenuti i permessi, Felice Costanzo, trepidante, affrontò il viaggio per Ostia dove avrebbe potuto finalmente conoscere il destino della propria casa.
Con sorpresa e orrore la trovò completamente vuota! Niente mobili e suppellettili ma neanche le finestre, i lavandini, i tubi dell’acqua. La scomparsa di oggetti e ricordi di famiglia colpì nel cuore Felice, poiché i ricordi che si tramandano per mezzo degli oggetti, delle fotografie, delle lettere sono parte della famiglia, come e più degli altri beni, essendo insostituibili. Chissà anche quanti documenti che riguardavano il rapporto con il celebre zio Michele sono andati distrutti in quell’occasione!
Superato il primo momento di shock, si pensò a come rimettere su la casa. Più tardi sarebbe arrivato qualche indennizzo come risarcimento di danno di guerra ma fu tardivo e insufficiente. Per non far perdere un altro anno ai due figli maggiori, Felice Costanzo lasciò Adami per l’inizio del nuovo anno — scolastico per lui e accademico per i figli — andando ad abitare presso la cugina Libertà a Roma, mentre la moglie e l’altra figlia rimasero ancora in Calabria.
Dopo pochi giorni, organizzata con mezzi di fortuna una parvenza di abitabilità nella casa di Ostia, Felice e i due figli vi si sistemarono come ci si può sistemare nel periodo che segue una disastrosa guerra, con merci introvabili e, comunque, a carissimo prezzo.
Arrivata l’estate, tutti si ritrovano in Adami da dove pochi mesi dopo l’intera famiglia, ormai riunita, farà ritorno a Ostia.
Fu in questi anni che Felice Costanzo incomincia a mettere mano alla penna per comporre le prime poesie ricevendo consensi e apprezzamenti. La cosa che più lo incoraggiava era che i plausi e gli apprezzamenti gli venivano da persone che di queste cose se ne intendevano: don Luigi Costanzo, Michele Pane, Vittorio Butera.
Passarono così gli anni ’40 e arrivarono tempi migliori: le lauree dei figli, l’acquisto di una macchina (una Fiat 600), l’assidua frequentazione del cognato Don Luigi che era a Roma, e tutto sembrava andare per il verso giusto. Immancabilmente, tuttavia, dovevano arrivare anche dispiaceri e dolori, soprattutto per la morte degli amati congiunti: il fratello Pasquale, lo zio Michele Pane e il cognato don Luigi.
Gli ultimi due anni di servizio nella scuola di Ostia Felice Costanzo li trascorse in ufficio, avendo conseguito la nomina di Collaboratore Fiduciario con esonero dall’insegnamento. Tra il disbrigo delle pratiche, Felice trovava il tempo di dedicarsi anche a letture e composizione di varie opere che pubblicherà via via con editori di Decollatura, Roma, Nicastro e Soveria Mannelli.
All’età di 65 anni, nel 1959 fu collocato a riposo e successivamente si trasferì a Roma dove aveva comprato una casa nella centrale via S. Evaristo, nei pressi di Città del Vaticano.
I figli cominciano ad intraprendere le professioni legate ai titoli di studio conseguiti: Cenza, laureata in Matematica e Fisica, inizia ad insegnare; Achille, laureato in Ingegneria elettrotecnica affronta gli esami ed entra nell’Istituto Superiore di Telecomunicazioni; Rachele Laureata in Lettere Classiche inizia l’insegnamento; Grazia, conseguito il diploma in Economia Domestica, insegna saltuariamente in alcune scuole di Roma e Fiumicino.
Dal 1961 Felice, venduta la casa paterna di Censo, si trasferisce nell’altra casa che aveva ristrutturato nella zona vicino la stazione ferroviaria di Adami (Le Fosse), dotata di un grande giardino in cui trovava posto anche un bel campo di bocce, una delle sue passioni.
Il volumetto “Dalle origini… (ricordi di famiglia)” è stato utilissimo per raccontare le vicende di Felice Costanzo fino all’inizio degli anni ’60. Per la parte successiva mi hanno offerto un valido aiuto le sue poesie (molte riguardano episodi particolari della sua vita) e i ricordi – vividi e dettagliati – della figlia Rachele.
Quello che emerge dalle sue note autobiografiche – ma anche dal resto delle sue opere – è un Felice Costanzo quale uomo serio, onesto, laborioso, attaccato alla vita di cui sapeva apprezzare i più semplici piaceri, senza mirare a grandi ed eclatanti ostentazioni e pretese.
«Una partita a tressette – ricorda Rachele – e a scopone, fuori casa o in famiglia, lo riempiva di gioia. Lo stesso effetto positivo gli faceva il gioco delle bocce nel “campo chi addura de viole e de frascame” di Michele a Pagliaia o nel campetto di casa.»
D’estate, quando in tutti i paesi del circondario si svolgevano le fiere, Felice doveva assolutamente visitarle tutte. Toccava alla figlia Cenza accompagnarlo in macchina, anche se non ne era particolarmente entusiasta, immaginando già le difficoltà che avrebbe incontrato nel destreggiarsi nel caos creato dalla circolazione di buoi, asini, pecore, donne con ceste sul capo, bambini, vecchi disorientati, camion e poi tutte le altre macchine.
Più di tutte, mi racconta Rachele, le pesava andare alla fiera dell’Abbandonata di Soveria, dove lo spazio era particolarmente angusto. Ma non era necessario insistere molto e Cenza prendeva le chiavi della macchina, disposta ancora una volta a sacrificarsi per il padre. E lui era doppiamente “felice”!
La vita nella casa di Adami gli offriva tanti piccoli piaceri, come quello di curare le piantine da frutto alle quali non faceva mancare l’acqua, ottenendone in cambio i frutti (soprattutto pere) che apprezzava molto.
Una delle sue passeggiate preferite lo portava alla fontana vecchia di Adami, sempre munito del suo bicchiere tascabile, pronto a farsi delle salutari bevute. Mai nessuna bevanda fu apprezzata da Felice Costanzo quanto le acque delle sorgenti della sua terra.
L’altro grande piacere di Felice era quello di ospitare altri “bei fiori” che coronavano la sua esistenza e cioè le nipotine Raffaella e Silvia – figlie di Achille – e talvolta Teresa, Lucilla e Mimmo, figli di Grazia.
Nel mese di dicembre del 1972 gli fu conferita la nomina di Socio dell’Accademia Cosentina, come era accaduto sessant’anni prima allo zio Michele Pane. Felice Costanzo accoglie quasi con incredulità la notizia, componendo subito una poesia pubblicata nel 1975 per ringraziare della nomina e per schermirsi dietro la sua tradizionale modestia.
Nel 1974, tra giugno e luglio, trascorse più di un mese di degenza all’ospedale di Catanzaro. Tornato a casa, trascorse un lungo periodo di convalescenza in cui, rincuorato dai familiari, pian piano riprese a camminare aiutandosi con due bastoni. Dovette però dire addio alla bicicletta, alle bocce e ai suoi consueti “70 giri” intorno casa.
Pochi anni dopo, un grande dolore è in agguato. Il 17 ottobre 1978 muore la sua adorata moglie Raffaela, Rafeluzza come vezzosamente la chiamava. È inutile aggiungere che, a questo punto, la vita di Felice Costanzo subisce una svolta fondamentale. Arriva la solitudine, arrivano le lunghe giornate trascorse a pensare e a rimuginare, con il pensiero che vagava, tra ricordi dolci e amarezze.
Il maggiore conforto fu, in questo periodo, il continuare a scrivere versi e a ripercorrere col pensiero la sua vita arrivando sempre più ad apprezzare le piccole cose, le piccole gioie della vita.
Grande conforto gli davano le visite dei vecchi amici sia a Roma sia nella casa di Adami durante il periodo estivo, come quelle, fra gli altri, di Nicola Sinopoli, Peppino Cerra, Peppino Scalzo e Giuseppe Mascaro di Serrastetta.
Intanto si avvicina l’epilogo. Agli inizi del giugno 1986, Felice Costanzo inizia ad avvertire una certa debolezza.
È il suo unico rene che comincia a cedere, avendo avuto asportato l’altro molti anni prima. La situazione precipita, ma Felice, pur rendendosi conto della gravità della situazione, continua a sperare di poter tornare a vedere ancora una volta la sua casa di Adami.
Poi «È finita! – sussurra infine all’orecchio della figlia Rachele – Vicino a me c’è mio fratello Pasquale, lo vedi? È qua!»
La sera del 13 giugno 1986, nella sua casa di Roma, muore serenamente dopo aver recitato per intero «Davanti S. Guido» di Carducci, una delle sue poesie preferite.
Dopo il funerale a Roma, la salma fu trasferita in Adami dove, nella chiesa gremita, il prof. Peppino Scalzo pronunciò un caloroso elogio funebre. E poi, quando il corteo, mestamente avviato lungo la strada che conduce al cimitero di Decollatura, passò sotto la grande quercia della Linza, lo stesso Peppino Scalzo protese una mano verso l’alto e, afferrato un ramo dell’albero, senza staccarlo, lo avvicinò alla bara in cui giaceva Felice, in segno di saluto, proprio come lui aveva immaginato nella poesia dedicata alla quercia.
Liberato dalla morsa, il ramo ritornò al suo posto, a guardare dall’alto Felice che si avviava lungo l’ultimo amaro tratto della sua vita terrena.
Nei confronti dello zio Michele Pane, Felice ebbe naturalmente stima e ammirazione. Il suo contributo fu fondamentale per portare a termine la pubblicazione della raccolta Musa Silvestre avvenuta a Roma presso l’editore Vittorio Bonacci (di origini decollaturesi) nel 1967. A Felice Costanzo riuscì in quell’occasione di realizzare il progetto editoriale intrapreso dieci anni prima da Gabriele Rocca e Don Luigi Costanzo su sollecitazione di Libertà. Desideravano pubblicare una nuova raccolta antologica dei versi di Michele Pane ma per problemi vari con gli editori e la loro improvvisa scomparsa non si era potuto fino a quel punto realizzazione l’impresa. La produzione letteraria di Felice Costanzo consiste in sedici pubblicazioni, sedici garbati volumetti tutti in formato tascabile, adatti a contenere quasi sempre in un’unica pagina, un’intera poesia, comodi da tenere in mano. I temi sono versi d’occasione (brindisi, auguri per ricorrenze e celebrazioni, ecc.) ma anche ricordi della propria fanciullezza, del paese natale Adami, e anche poesie che sarebbero state adatte a un libro di lettura per le scuole elementari (… quelli di una volta) perché di tono pedagogico e affettuoso, come doveva venirgli naturale per la sua lunga professione di insegnante. E, proprio a questo proposito, si distingue tra i suddetti volumi, quello intitolato «Grammatichetta italiana in versi». L’editore della prima edizione del 1949, Vittorio Bonacci, queste parole: «Questa grammatichetta […] è nata nella scuola e per la scuola, in intima collaborazione con gli stessi alunni i quali – con la festosa accoglienza, con la prontezza del loro esperimento mnemonico, con i loro rinnovati e felici richiami in sede di correzione o di analisi – sono stati gli stimolatori più efficaci del pensoso maestro che ha cercato per loro – unicamente per loro – formule facili, spesso vivaci e scherzose, atte a richiamare regole e norme di solito mal digeribili e astratte». E infatti il maestro Felice si ingegna nel trovare versi per esprimere con puntualità regole e norme su articoli, nomi, verbi, e tutto quello che costituisce il tormento degli scolari:
MODI E TEMPI DEL VERBO
Quattro son modi finiti,
chè l’azione fan precisa;
altri tre gl’indefiniti,
che la lasciano indecisa.
Prima c’è l’indicativo
che ti dona la certezza,
e poi viene il congiuntivo,
che t’esprime dubbiezza.
Dopo il se col CONGIUNTIVO,
MODO C’È condizionale;
– SE tuo padre FOSSE vivo,
non STARESTI così male.
………..
e così via, per tutti i tempi del verbo.
A questa prima opera seguì «Juri ‘e luntananza. (Viersi ‘n calavrise)» pubblicata dall’editore Vittorio Bonacci a Roma nel 1958, in cui la presenza dell’impronta dello zio Michele Pane è evidente, a partire dal quel sottotitolo Viersi ‘n calavrise che richiama quello usato da Pane nel 1911 Stroffe ‘ncalavrise. In questo libro è contenuta una delle più famose poesie di Felice Costanzo:
‘A CERZA D’A LINZA
O cerza, chi arroccata e puterusa
spidi lu vientu fort’’e tramuntana,
‘sta mente te ricorda ed amurusa
se vorge sempr’a ttie chi si’ luntana!
Te guarda cum’’u faru de sarvizza
‘u marinaru adocchia d’intru l’unde,
quandu lu vientu ‘na timpest’attizza
e lle pagure sue se fanu funde.
O vecchia cerza, tu chi fai vidìre
‘ fermu truncu e cime a zumpunìa
allarghi, cumu vrazza pp’accoglire,
accuogli puru ‘sta parola mia!
‘U viernu tu te spùogli pp’alluttare
cchjù forzicuta ccu’ lli brutti vienti;
‘mprimavera pue ‘ncigni a t’adornare,
cà lu bisuognu nuostru già tu sienti!
O cerza rande, sutta ‘ssa friscura
ripara l’agelluzzi ccu’ lli nidi
e glianda duna ed aria frisca e pura:
‘n’âtri mill’anni statti dduve sidi!
L’ùomini moni sempre se faû guerra
ppe’ sse tirare l’anim’e llu core;
tu, chi si’ arradicata forte ‘nterra,
surtantu bene mandi sempre fore!
A ‘ss’umbra tua cuntientu, ‘e quatrariellu,
fùozi scolaru ( e cumu cce tornerra!);
a ‘ss’umbra pue cce fùozi giuveniellu,
de maestru (furnut’’a prima guerra).
E tridici anni cce passai cuntientu,
faciendu, cumu pùotti, ‘u mio duvere;
pue me portàu luntanu ‘n’autru vientu,
ma piensu sempr’a chille primavere!
A ss’umbra pue cce tuornu vecchiariellu
ppe’ te dire ‘st’amara storiella:
– «Tu ere vecchia ed io ‘nu quatrariellu;
mo’ sugnu viecchiu e tu… si’ fort’e bella!» –
A ‘ssu tiermin’e Linza pue te lassu
e me ‘ncaminu ppe’… ‘na brutta via
e quandu ‘ntieri, all’urtimu, te passu,
‘na cima chjca supr’’a vara mia!
L’atmosfera della poesia è quella nostalgica, tipica di molta produzione dello zio Michele. I luoghi di Adami, limitati nel numero ma infiniti nelle combinazioni che riescono a produrre, sono però diversi perché diversa è stata la “lettura del territorio” dei due uomini: separati temporalmente di una generazione e nello spazio dall’infinità oceanica. Felice, in questa poesia, ci parla di una maestosa pianta di quercia che cresceva (e tuttora continua a godere di buona salute) al confine di un terreno detto ’a linza nelle immediate vicinanze dell’antico edificio della scuola elementare di Adami. La quercia lo ha visto bambino quando andava a scuola, adolescente a sospirare, forse, alla sua ombra, da adulto a insegnare per molti anni in quella stessa scuola. Ora Felice le dice di aspettarlo per l’ultimo, fatale incontro. Quando lui, nella bara, le passerà sotto perché è da lì che passa la strada che dalla chiesa di Adami porta al cimitero, le chiede solo un piccolo segno, in cambio della stima che lui ha avuto per lei: un inchino fatto con un ramo, un ultimo saluto!
E, in qualche modo, così accadrà!
PUBBLICAZIONI DI FELICE COSTANZO
N. |
Titolo |
Anno |
1 |
Grammatichetta italiana in versi, Vittorio Bonacci Editore, Roma |
1949 |
2 |
Per ricordare, Gastaldi Editore, Milano |
Gennaio 1958 |
3 |
Juri ‘e luntananza (Viersi ‘n calavrise), Vittorio Bonacci Editore, Roma |
Maggio 1958 |
4 |
Piccole cose (poesiole per piccoli), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme |
1967 |
5 |
Altri Ricordi…, Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme |
1967 |
6 |
Juri tardivi (viersi ‘n calavrise), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme |
1967 |
7 |
Urtimi Juri (viersi ‘n calavrise), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme |
1971 |
8 |
Ultimi Ricordi (poesie in lingua italiana), Tip. Numistrana – L. Nucci, Lamezia Terme |
1971 |
9 |
Urtimi Juri (aggiunte), Rubbettino, Soveria M.lli |
1975 |
10 |
Ultimi Ricordi (aggiunte), Rubbettino, Soveria M.lli |
1975 |
11 |
Ultimi Ricordi (altre aggiunte), Rubbettino, Soveria M.lli |
1978 |
12 |
Grammatichetta italiana in versi, Tip. Olimpica, Roma (ristampa con aggiunte) |
1979 |
13 |
Ultimissimi ricordi e juri, Grafica Reventino, Decollatura |
1979 |
14 |
…Juri. Estratto da ULTIMISSIMI RICORDI E JURI, Grafica Reventino, Decollatura, |
1979 (?) |
15 |
Ancora ricordi…, Rubbettino, Soveria M.lli, |
1982 |
16 |
Dalle origini… (ricordi di famiglia), Rubbettino, Soveria M.lli |
1983 |
Qui di seguito presento le copertine di tutte le pubblicazioni di Felice Costanzo e, per ciascuna di esse, anche alcune pagine:
Ringrazio vivamente le figlie Rachele e Grazia Costanzo per le informazioni e il materiale fornito.
Copyright © 2012 Giuseppe Musolino
Leggi tutto