Omaggio a Michele Pane al Terrazzo Pellegrini di Cosenza

Omaggio a Michele Pane al Terrazzo Pellegrini di Cosenza

Ieri 11 aprile 2012 una manifestazione in omaggio a Michele Pane si è svolta nella prestigiosa sede del «Terrazzo Pellegrini» di Cosenza. A volerla e ad organizzarla è stata l’Associazione I 13 Canali di Cosenza (link al sito), nata con il preciso scopo di difendere e valorizzare il patrimonio culturale del dialetto.

Omaggio a Michele Pane

La manifestazione è iniziata con il saluto di benvenuto della responsabile della Casa Editrice Pellegrini — presso cui ha sede ufficiale l’Associazione I 13 Canali — seguito dall’intervento del prof. Mario Iazzolino, Presidente della stessa. Il professore ha ricordato le finalità del lavoro del gruppo che coordina ed ha svolto una dotta dissertazione sul rapporto linguaggio-lingua nazionale-dialetto che a breve metterà a disposizione del pubblico sul sito dell’Associazione.

Musolino, Ferlaino, Iazzolino, Calomino

Musolino, Ferlaino, Iazzolino, Calomino

E’ stata poi la volta del prof. Franco Ferlaino, Cultore di Etnologia presso l’Università della Calabria, che ha trattato della biografia di Michele Pane, soprattutto per alcuni aspetti della sua formazione scolastica e umana, alla luce delle novità contenute nella biografia sul poeta scritta da Giuseppe Musolino. Ferlaino ha evidenziato l’importanza del minuzioso lavoro svolto dall’autore, definendolo, come già aveva fatto, un lavoro di “carotaggio” attraverso la vita, la società, le persone, gli usi, i luoghi che hanno avuto a che fare con Michele Pane.

Omaggio a Michele Pane

Il prof. Giuseppe Musolino, autore della biografia Michele Pane. La vita, ha parlato della vita e dell’opera di Michele Pane avvalendosi della presentazione di materiale documentario e fotografico inedito, molto apprezzato dal numeroso e competente pubblico intervenuto.

Omaggio a Michele Pane

Nel corso della manifestazione ci sono stati degli intermezzi con la lettura delle poesie di Michele Pane da parte di alcuni appassionati componenti dell’Associazione, che hanno nel piacere di leggere per sè e agli altri le poesie dialettali, uno dei motivi principali per lo stare insieme. Il prof. Franco Calomino ha letto I tumbari, Ciccio De Rose Cuntrattu, Antonio Martire Maju e Maria Luigia Campolongo ha concluso con una partecipata e apprezzatissima lettura di Tora, ‘A serenata e ‘A catarra.

 

Leggono le poesie: Campolongo, Colamino, De Rose, Martire

Leggono le poesie: Campolongo, Colamino, De Rose, Martire

Altre immagini della manifestazione nella Photogallery a questo link.

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Azzarelleide

Azzarelleide è un poemetto pubblicato per la prima volta in Viole e ortiche nel 1906 ma era stato composto già da molti anni. Lo testimoniano innanzitutto la pubblicità in quarta di copertina di Trilogia  pubblicata nel 1901 in cui si legge «Di prossima pubblicazione: Azzarelleide (Vrogniata in la maggiore)».

Quarta di copertina di Trilogia

Quarta di copertina di Trilogia

Non si è molto lontani dalla verità se si ipotizza che Azzarelleide sia stata composto nello stesso periodo de L’uominu russu con il quale condivide le stesse tematiche e, forse, anche gli stessi personaggi.

In Viole e ortiche fa parte di Ortiche,  e quindi si pone nel filone delle opere contro gli uomini malvagi e ingordi, che approfittano della loro posizione per curare i propri affari andando contro moralità e giustizia.

Azzarelleide

Azzarelleide

E veniamo al merito dell’opera. Innanzitutto, il titolo. E’ evidente il riferimento ad un’opera epica suggerito dal suffisso -eide che vuole richiamare l’Eneide o forse anche l’irriverente Ceceide di Vincenzo Ammirà. Il personaggio di cui si narrano le “eroiche” vicende è Azzarielllu, quarto figlio nientemeno che di Marte! Pane si riferisce sicuramente a un’altra persona, un uomo in carne e ossa che si vuole prendere in giro — come era accaduto con L’uominu russu — ma di chi si possa trattare è un vero mistero. Forse i contemporanei avrebbero potuto capirlo da qualche riferimento che però ormai è troppo difficile, anzi impossibile, decodificare.

Soffermandosi sul sottotitolo «Vrogniàta in La maggiore» c’è già di che scrivere e approfondire.
La vrogniàta: ma che cos’è? E’ una parola inventata da Michele Pane stesso a partire da vrogna. La vrogna (“brogna” in italiano) è uno strumento musicale primitivo, una grande conchiglia usata come corno. In genere si usava il guscio del Triton nodiferum, un mollusco che arriva alle dimensioni di 30-40 cm, che la mitologia vuole venisse usato da Tritone per agitare o placare le acque. Ne è un esempio la statua della fontana del Tritone di Bernini in Piazza Barberini a Roma in cui Tritone è rappresentato nell’atto di soffiare dentro una «vrogna» detta anche «buccina» (da bocca) dalla quale scaturisce uno zampillo d’acqua.

Fontana del Tritone - Roma

Fontana del Tritone - Roma

La vrogna è uno strumento usato originariamente da popolazioni costiere, successivamente passato in uso anche alle popolazioni dei paesi interni. Qui, poi, data la difficoltà di procurarsi la conchiglia, è stato lentamente sostituito da uno strumento simile ricavato dal corno di animali come i bovini che nelle antiche razze ne avevano di giganteschi. Il suono che produce la vrogna è una bassa tonalità che però ha la caratteristica di propagarsi per lunghe distanze, caratteristica che condivide con il corno alpino (quella specie di pipa lunghissima), e tutti gli altri corni usati specialmente nelle montagne come mezzo di comunicazione tra persone (specialmente come segnale di pericolo o dare il via a qualche attività) o per richiamo delle greggi.

porcaro

Il custode dei maiali mentre suona la "vrogna"

Ecco un esempio del suono di una «vrogna» (registrazione del 1961 eseguita a Siracusa):

 

Un interessante collegamento con la «vrogna» esiste nell’etimologia del nome del paese di Brognaturo, in provincia di Vibo Valentia, nel quale è evidente il nesso tra lo strumento e il nome proprio della località derivato dalla circostanza di essere un luogo in cui venivano pascolati allo stato brado animali (verosimilmente maiali) che poi venivano richiamati con l’apposito strumento (vedi l’interessante studio pubblicato qui)

Suonare la vrogna si dice vrogniare, come faceva il pastore o il porcaro che andavano suonando il corno per le campagne per richiamare e radunare i propri animali. Da qui è nato l’uso figurato del verbo vrogniare che equivale ad «andare a strombazzare» cioè ad andare in giro raccontando ad alta voce cose poco edificanti nei riguardi di qualcuno. Insomma «svergognare», che poi è l’intento di Michele Pane.

La parte I, dopo la dedica, inizia con questi versi:

Mo’ s’ùsanu le trumbe ed è vrigogna

         sonare chista marcia ccu’ lla vrogna.

E qui inizia la narrazione delle vicende del personaggio cui è dedicata l’opera,  Azzariellu, a partire dai suoi natali fino alle imprese più inverosimili che avrebbe compiuto.
Il nome Azzariellu è il diminutivo di azzaru, “acciaio”, quindi dovrebbe un uomo forte e coraggioso, ma non è così come si vede dalle sue gesta donchisciottesche.
Commentare tutto il poemetto è un’impresa che esula dai fini di questo sito anche perché, come detto sopra, i riferimenti a persone e fatti sono troppo oscuri e nessuno ha mai tentato l’impresa di scavare a fondo nei versi per arrivare a ciò che vi si nasconde. Quel che si può fare qui è fornire un riassunto delle strofe sperando che prima o poi qualcosa in più, oltre il significato letterale, si riesca a decifrare.

AZZARELLEIDE

I

Azzariellu, figlio di Marte, era l’ultimo di quattro fratelli. Il primo si chiamava Spavìentu (Spavento), era veloce più del vento proprio come un uccello rapace.
Ma era avvezzo al vino che preferiva alla lotta e perciò il padre non ne era molto contento.
Il secondo fratello si chiamava Cacacchiu (Fifa) ed era abilissimo nel tiro col fucile. Se andava a caccia, il sangue scorreva a fiumi ma anche di lui il padre era scontento per motivi che non si possono dire (così afferma il poeta).
Il terzo si chiamava Fracassa, grande raccontatore di frottole fin da piccolo e quindi il padre non se la sentì di affidargli il comando delle squadre militari che aveva ai suoi ordini.
E infatti il compito di comandare tali squadre di uomini  fu affidato all’ultimo nato, proprio l’Azzariellu cui è dedicata l’opera.

II

Azzariellu dunque si veste d’autorità e al comando della gente che aveva provveduto ad arruolare (suonando la vrogna per richiamare l’attenzione).
Nei versi seguenti Michele Pane descrive le iperboliche dimensioni degli accessori militareschi di cui si dota Azzariellu: spada di un quintale, giberna fatta con la pelle di un’intera cavalla, capace di contenere pane quanto se ne produce in quattro forni, pallottole quanto una braciola (crocchetta), ecc.
Così munito va all’attacco del Drago, un terribile mostro dalle sette teste, che si nascondeva in una grotta nella località Sorbello, una zona nei pressi dell’allora frazione Passaggio di Decollatura.
Il perchè della scelta di questa località è impossibile da comprendere con quanto sappiamo (anzi non sappiamo) oggi.

III

Azzariellu giunge quindi all’ingresso della grotta da dove il Drago, vedendolo arrivare, era già morto dalla paura.
Entra nella grotta il Capitano Azzariellu, pistola in mano, e alla luce della candela accesa dall’aiutante di campo (lo schiavo —scavu— è scritto nei versi) appare il Drago morto per il terrore.
Azzariellu ordina all’aiutante di scuoiare il mostro dopo che egli stesso con la spada lo ha diviso in due.
Quel cuoio servì poi per confezionare una pelliccia per un tale che indossandola acquisisce poteri sovrumani e vince tutte le cause, essendo un avvocato e, forse, anche un politico.
Con questo riferimento esce allo scoperto Michele Pane, rendendo esplicito (lo fa ancora di più nei versi seguenti) il riferimento ad uomini avidi e ingordi, in qualche modo contigui al potere che ha in mano il Comune di Decollatura in quel momento. E infatti, squartando e sezionando la bestia immonda, Azzariellu trova in una piega del gigantesco intestino, nientemeno che un intero edificio, il Municipio! Era stato completamente spolpato dal mostro!
Per portarli in omaggio agli altri suoi amici, Azzariellu fa staccare dal corpo del Drago un orecchio, del grasso per ungere stivali, ecc.

IV

Il successo di Azzariellu non fu però completo. Mancava all’appello il tesoro che tuttora lì rimane protetto da un incantesimo.
Dopo aver preso quel che gli serviva, Azzariellu fece rotolare fuori dalla grotta, giù per il pendio, i resti del mostro e solo rimase nella grotta un grosso dente.
Ed è quel dente che il cane del poeta trovò quando, inseguendo un furetto, si addentrò nella grotta.
Oggi, quel dente aguzzo, “lo uso io” — dice il poeta—. Per pungiglione!

 

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«Michele Pane come non l’avete mai letto» di Francesca Cannataro

È stato pubblicato sul mensile «Sport & Turismo» di marzo 2012 un articolo di Francesca Cannataro sulla presentazione del volume  «Michele Pane. La vita» avvenuta presso la libreria Ubik di Cosenza lo scorso 16 febbraio 2012.
Si tratta di un bellissimo articolo che coglie gli aspetti fondamentali trattati durante la manifestazione e di cui ringrazio l’autrice.

sport e turismo

Sport e turismo_ anno 17_ n. 2_ marzo 2012 pag. 102

"Sport e turismo", anno 17, n. 2, marzo 2012, pag. 102

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Intervista a Carmelo Calci, curatore della mostra «Garibaldi e i volontari calabresi nell’epopea risorgimentale»

Intervista a Carmelo Calci

Pubblicata in «Storicittà. Rivista d’altri tempi», Anno XXI, n. 199, Gennaio-Febbraio 2012, p. 54.

D.  Allora, Carmelo, dopo quanto abbiamo fatto per la memorabile giornata del 18 agosto scorso, quando è stata apposta la prima targa marmorea al Palazzo Stocco di Decollatura, ti ho ritrovato a Lamezia con questa eccezionale mostra. Cosa c’è ancora da fare per ricordare il Risorgimento in Calabria?

R.  Ricordo ancora con emozione quel giorno. Verso la fine di luglio so da una tua telefonata (era la prima volta che ci sentivamo) dell’intenzione da parte del Comune di Decollatura di apporre una lapide sulla casa natale di Francesco Stocco, non mi sembrava vero. Nel mio primo articolo sul generale di Decollatura (Storicittà n. 176, Ottobre 2009) così concludevo Nel 2010 ricorre il 150° anniversario della “Spedizione dei Mille” e il 130° anniversario della morte del generale Stocco. Quale occasione migliore per l’Amministrazione Comunale di Lamezia Terme per ricordare e onorare il suo illustre concittadino e in nota A Nicastro, ora Lamezia Terme, esiste una piazza intitolata al generale Stocco nei pressi del palazzo della sua residenza. Certo, la piazza si prestava ad accogliere un monumento, ma è incredibile come non si sia mai pensato di apporre almeno una targa sull’edificio in cui visse e morì. È l’occasione per porvi rimedio. E finalmente, grazie al buon lavoro che abbiamo fatto a Decollatura, anche con l’amico Massimo Iannicelli, abbiamo potuto collocare l’8 novembre scorso un’altra lapide al Palazzo Stocco a Lamezia Terme. Adesso si spera di completare l’opera con l’apposizione di una nuova lapide a ricordo del passaggio di Garibaldi a Palazzo Stocco di Decollatura il pomeriggio del 30 agosto 1860, mentre si stava concludendo il disarmo delle truppe borboniche a Soveria Mannelli. Un altro augurio è che si possa istituire nei locali al piano terreno dello stesso palazzo, magari dopo un attento restauro, un museo con il cospicuo e importante materiale che ancora conservano i discendenti del generale Stocco. Quindi come vedi c’è un legame, un filo conduttore con quella manifestazione di Decollatura. La mostra di Lamezia potrebbe essere la prima pietra per un Museo del Risorgimento; a seguito di questo evento, infatti, il sindaco Gianni Speranza vorrebbe che si realizzasse. Molti discendenti di patrioti lametini sono disposti a donare al Comune i propri cimeli e qualcuno già l’ha fatto. Ecco, questo si può fare subito e forse e il modo migliore per ricordare il Risorgimento in Calabria.

D. Avendo approfondito lo studio sui documenti del Risorgimento, e in particolare quelli riguardanti il 1848 e il 1860 nel territorio lametino e il suo comprensorio, che idea ti sei fatto sul ruolo svolto da questo territorio e i suoi uomini nel garantire la riuscita del grande ideale unitario?

R.  I moti del 1848 nel distretto di Nicastro misero in difficoltà l’esercito borbonico di Ferdinando Nunziante e, anche se si conclusero con la disfatta dell’Angitola per mancanza di organizzazione, segnarono in modo indelebile l’ostilità contro il regime di Ferdinando II. L’apporto dei calabresi nel 1860 poi è stato importantissimo. Già nella schiera dei Mille della quale Francesco Stocco ne comandava uno dei sette corpi vi erano ben 21 calabresi. Lo stesso Stocco ebbe un ruolo rilevante nella preparazione del passaggio dell’esercito meridionale in Calabria, tanto che fu un vero e proprio trionfo e Garibaldi lo ricordò più volte. Un trionfo poco percepito nella letteratura risorgimentale da essere solo accennato, proprio perché, a parte la battaglia di Reggio Calabria, tutto fu così rapido, ma ripeto, fu soprattutto grazie ai volontari calabresi che Garibaldi poté raggiungere Napoli in tutta tranquillità.

D. Veniamo alla mostra che hai curato per Lamezia Terme. Qual è stata l’idea, quale il filo logico che ha ispirato la tua ricerca e la scelta del materiale da proporre al pubblico?

R. Ho curato altre mostre fuori della Calabria ed ho pensato che era il momento di farne una anche a Lamezia Terme, mio paese natale, dove – come dicevo prima – il contributo all’unificazione del Paese è stato notevole. Basti pensare a personaggi come Giovanni Nicotera e Francesco Stocco e ai tantissimi volontari coinvolti, meno noti. L’idea è stata quella di rammentare soprattutto ai giovani gli ideali dei tantissimi nostri patrioti che combatterono e rischiarono la propria vita per l’unificazione dell’Italia. Dobbiamo far conoscere con studi, pubblicazioni e quant’altro questi personaggi spesso dimenticati.

D. Visto che – immagino – necessariamente avrai toccato con mano tutti i pezzi esposti, mi dici qual è quello che ti ha suscitato più emozione pensando all’uomo o alla situazione a cui è legato?

R.  I due busti di Garibaldi e Mazzini dello scultore Giovanni Spertini e quello in terracotta di Garibaldi esposto nella sala con gli affreschi di Giorgio Pinna; poi i ritratti di Giovanni Nicotera, dei fratelli Francesco e Michele Matarazzo, di Francesco Fiorentino e di Nicola Sposato. Questi illustri figli di Sambiase li ho sempre visti fin da giovane nella sala consiliare e non avrei mai pensato di poterli esporre in una mostra da me curata; lo stesso vale per la statua di Carlo Pisacane proveniente dal palazzo Nicotera di Sambiase. E poi c’è la serie delle sette medaglie del Risorgimento Italiano coniate e incise dal milanese Francesco Grazioli di cui sto curando una pubblicazione: trovarle tutte insieme in un cofanetto di palissandro è stata una vera emozione. Ugualmente ad esempio per il biglietto della lotteria in favore di Giovanni Nicotera del 1859, quando era rinchiuso nelle carceri dell’isola di Favignana; pensa, il n. 3 è uno dei primi e mi ricorda come i mazziniani si davano da fare per raccogliere del denaro per Giovanni Nicotera che aveva promesso a Carlo Pisacane, morente, di adottare la giovane figlia Silvia.

D. Che percorso nella visita suggeriresti ad un visitatore che non sa ancora niente della mostra?

R. Il percorso, per come ho allestito la mostra, dovrebbe essere obbligato se si tenesse aperto l’ingresso principale, dove già per le scale sono i ritratti dei Mille di Marsala e due grandi litografie con i ritratti della famiglia e gli episodi salienti della vita eroica di Garibaldi che non abbiamo potuto esporre all’interno per mancanza di spazio. La visita dovrebbe iniziare da qui e comunque, essendo articolata in due sezioni, si può scegliere se visitare prima lo spazio espositivo dedicato ai Padri della Patria e ai fatti più salienti del nostro Risorgimento e poi quello dedicato ai volontari calabresi, o viceversa. Chi visita il Museo Archeologico, incontrerà prima la sezione dei Calabresi. Purtroppo spesso l’ingresso principale è chiuso e molti accedendo dal Museo senza visitarlo, entrano direttamente alla mostra dalla parte sbagliata.

D. Quale altro oggetto avresti voluto nella mostra ma che, per qualche ragione, non è stato possibile ottenere o inserire?

R.  Guarda, uno dei miei amici prestatore è ritornato a Milano con mezzo furgone di cimeli e tanti ancora dei miei personali e di altri del lametino non li abbiamo potuti esporre per mancanza di vetrine. Mi dispiace inoltre di non aver potuto ampliare la sezione dedicata agli antagonisti – mi riferisco ai borboni, agli austriaci e ai papalini – e poi per non aver potuto allestire una sezione fotografica.

D. A chi vuoi mandare un grazie per la riuscita dell’iniziativa?

R.  Al sindaco Gianni Speranza che ha accolto la richiesta per la realizzazione della mostra e a Giuseppe Garibaldi, pronipote dell’Eroe per la cortese disponibiltà. Un grazie di cuore a tutti i prestatori Salvatore Scavuzzo, Eredi Antonio, Giovanni e Paolo Stocco, Emilio Cataldi, Maria Luigia Cimino-Proto, Napoleone Fiore Melacrinis, Maria Grazia Colombo, Gianluca Virga, Gianluigi Parpani, Angelina Maione, Umberto Zaffina; a Roberto Spadea della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e al personale statale e comunale del Museo, a Vincenzina Siviglia, Nicola Purri, Giuseppe Ruberto, Lucio Leone, Fabio Butera, Antonella Sterlicchio, Claudio Baio, Roberto Avati, Michela Cimmino e a tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito alla riuscita dell’evento.

D. Ci sarà una pubblicazione del catalogo della mostra?

R. Il catalogo naturalmente è previsto e io ho tutto pronto e spero tanto che si trovino le risorse per la stampa, sarebbe un vero peccato non farlo.

D. Che cosa ho dimenticato di chiederti e che risposta mi avresti eventualmente dato?

R.  Non mi hai chiesto se sono soddisfatto. Ti avrei risposto di sì, nonostante il poco tempo che ho avuto a disposizione – essendo lontano da Lamezia – per una più idonea collocazione da dare agli oggetti per una maggiore fruibilità da parte dei visitatori, per garantire una migliore coerenza ed eleganza all’insieme che è un elemento fondamentale per la riuscita di una mostra. In ogni caso spero che questo evento sia motivo di riflessione e contribuisca perché i nostri concittadini si possano riprendere la parte di orgoglio che spetta a loro per aver avuto degli antenati che hanno onorato il loro paese e l’Italia intera!

Grazie, Carmelo.

Giuseppe Musolino

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Ricordati i Patrioti Sambiasini

Ricordati i Patrioti Sambiasini

Locandina Patrioti Sambiasini

Si è svolta ieri, sabato 17 marzo 2012, nella Sala Consiliare dell’ex Municipio di Sambiase, la manifestazione voluta dal Comitato Patrioti Sambiasini per ricordare coloro che parteciparono alla Rivoluzione del 1848 e del 1860. La manifestazione, patrocinata dal Comune di Lamezia Terme, si è svolta alla presenza di S.E. il Prefetto di Catanzaro Antonio Reppucci, il Consigliere Regionale On. Mario Magno, il Sindaco di Lamezia Terme prof. Gianni Speranza e un numeroso e qualificato pubblico.

L'intervento del prof. Giuseppe Musolino

L'intervento del prof. Giuseppe Musolino

La Sala Consiliare, definita dal Sindaco Speranza, il «Pantheon di Sambiase»  per il fatto di ospitare tutto intorno alle pareti i ritratti dei più insigni cittadini, primo fra tutti, in posizione centrale, quello del Patriota e Ministro Giovanni Nicotera, poi Francesco Fiorentino, il Generale Matarazzo, Enrico Borrello, e così via.
Ieri altri due ritratti sono stati aggiunti quando, sollevando il tricolore che li aveva coperti per tutta la prima parte della cerimonia, i discendenti dei Patrioti Giuseppe Majone e Giovanni Maria Cataldi — rispettivamente nelle persone della prof.ssa Angelina Maione e del dott. Emilio Cataldi — hanno mostrato al pubblico i ritratti dei loro avi donati alla Città che da ieri hanno il loro posto nel Panteon.

 

Giuseppe Majone

Giuseppe Majone

Giovanni Maria Cataldi

Giovanni Maria Cataldi

Questo avveniva alla conclusione della manifestazione che era iniziata con l’ascolto dell’Inno Nazionale Italiano e che poi era proseguita con gli interventi dei relatori. A coordinare i lavori è stato il Direttore di «Storicittà» Massimo Iannicelli che ha ricordato, come anche ha fatto il Sindaco Speranza, come la sua rivista sia giunta al 20° anno con 200 numeri pubblicati.

All’inizio ha preso la parola la prof.ssa Francesca Muraca del Comitato Patrioti Sambiasini per un saluto e un ringraziamento a quanti hanno collaborato per la riuscita della manifestazione.

Il primo intervento di introduzione al tema è stato quello del prof. Antonio Bagnato dal titolo «Il contributo di Sambiase al Risorgimento Italiano», seguito da quello del prof. Vincenzo Villella centrato sulla figura di Giuseppe Majone del quale ha illustrato doti umane e professionali con la lettura di documenti dell’epoca.
Poi la prof.ssa Filomena Stancati, della quale è stato ricordato il pluridecennale impegno nella ricerca storica, ha parlato del Patriota Giovanni Maria Cataldi del quale ha potuto ricostruire la vicenda grazie alla disponibilità del discendente dott. Emilio Cataldi che ha messo a disposizione l’immenso archivio di famiglia, e in particolare le lettere spedite dal carcere di Ventotene.

A seguire ho proposto il mio contributo sull’influenza che l’ambiente sambiasino ebbe su Michele Pane. E ciò avvenne non solo perchè buona parte dei suopi antenati era di quella città ma perchè a Sambiase frequentò la scuola elementare e le lezioni dello zio Pasquale Fiorentino, fratello della madre Serafina e del filosofo Francesco.
Il prof. Filippo D’Andrea ha delineato brevemente la figura del filosofo Francesco Fiorentino, rimandando agli approfondimenti da lui pubblicati su importanti riviste di filosofia.

Alla fine il Sindaco Speranza e il Prefetto Reppucci hanno preso la parola per complimentarsi con gli organizzatori e ricordare l’importanza dell’impegno.

Da questo link si può accedere alla copia integrale della mia relazione.

Giuseppe Musolino

 

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